Il piano di B. per zittirla: boom di programmi regionali.
Floris, Dandini e Fazio finiranno in un angolo.

di Sara Nicoli

Basta avere le idee chiare. E Berlusconi sulla Rai le ha chiarissime. L’ultimo intervento a gamba tesa in diretta a Ballarò ne è stata l’ennesima dimostrazione, con un attacco diretto al conduttore e alla rete "piena di comunisti". Ma dietro le battute e le aggressioni, c’è un disegno politico preciso che, specie negli ultimi tempi, è diventato una sorta di ossessione per il Cavaliere: mettere Raitre nelle condizioni di non nuocere. Giovedì prossimo, intanto, è previsto un cambio al vertice della rete, Antonio Di Bella dovrebbe prendere il posto di Paolo Ruffini, ma la poltrona di direttore, nel quadro della normalizzazione che vorrebbe Berlusconi c’entra fino ad un certo punto.

L’idea di "come" raggiungere l’obiettivo agognato da Berlusconi sarebbe maturata nella mente di Paolo Romani, vice ministro dello Sviluppo Economico da sempre longa manus berlusconiana sulla comunicazione. Romani, in un colloquio con il premier di qualche mese fa, avrebbe cercato di calmare l’animosità di Berlusconi nei confronti dei programmi "avversari" (non solo Floris, ma anche la Dandini e Fazio) spiegando che l’unico modo per tacitare definitivamente quelle voci era di utilizzare l’unica arma che il governo ha per tenere sotto pressione il servizio pubblico: agire cambiando alcune norme del contratto di servizio e puntando su quei programmi che sono finanziati solo dal canone. Lì per lì Berlusconi avrebbe scosso la testa, ma poi la cosa è stata spiegata con l’introduzione di una formula magica. La regionalizzazione di Raitre.

Il piano è noto da tempo in Rai, ma la gestione Ruffini ha fatto sì che quest’ipotesi di rete federale non abbia mai avuto modo di mettere radici. Solo di recente, nell’ultima parte della gestione-Cappon, la Rai ha dato il via a Buongiorno Regione, il tg regionale in onda all’alba che insiste sulla terza rete, senza tuttavia snaturarne l’identità. Quello che ha in mente questo governo invece è ben altro. Si tratta di prendere il palinsesto di Raitre e "occupare" la maggior parte degli spazi sensibili (perché di grande appeal di pubblico e, conseguentemente, di pubblicità) con programmi di forte connotazione regionalistica o di servizio per il cittadino utente. Questa trasformazione non avverrebbe, secondo le indicazioni del governo, in modo repentino ma assai graduale, con l’obiettivo ultimo di far restare della Raitre che conosciamo oggi solo due, al massimo tre prime serate blindatissime e connotate da programmi più vicini a Mi manda Raitre che a Ballarò o, peggio, a Fazio. A parere di Romani, ma anche del ministro Claudio Scajola, titolare dello Sviluppo Economico da cui dipende la stesura finale del contratto con la Rai, questa trasformazione di Raitre dovrebbe essere uno dei capisaldi del nuovo contratto di servizio (che entrerà in vigore a gennaio e del quale, per adesso, sono state approvate dall’Agcom solo le linee guida), ma è inutile dire che la sola idea ha trovato forti resistenze in azienda. Non solo sul piano politico, ma anche su quello delle risorse economiche.

La regionalizzazione di una rete Rai, nello specifico di Raitre, comporterebbe un’espansione dei programmi che sono finanziati solo attraverso il canone (che, com’è noto, è pagato da un terzo degli italiani), e una netta contrazione di quelli finanziati solo dalla pubblicità, con un ovvio abbattimento degli introiti da spot che per altro sono stati soggetti, con la crisi, ad una forte contrazione (l’azienda potrebbe infatti avere, entro il 2012, un buco di 600 milioni di euro).

Basti pensare che quest’anno l’azienda ha dovuto coprire con 300 milioni di euro derivanti da spot introiti non pervenuti a copertura di costi per programmi solo finanziati da canone (In mezz’ora di Lucia Annunziata, tanto per fare un esempio, è un programma finanziato dal canone che costa 26 mila euro a puntata tutto compreso). Insomma, i desideri del Cavaliere si scontrerebbero con la stessa sopravvivenza della Rai, ma anche su questo il premier avrebbe in serbo un "predellino" mediatico. Infatti, nonostante una parte della maggioranza, con in testa Fini e Tremonti, stiano spingendo per dare il via ad una leggina che consentirebbe alla Rai di avere risorse certe grazie alla parcellizzazione del canone all’interno della bolletta della luce (pagare meno, ma pagare tutti), il rischio è che invece la tv pubblica sprofondi nel baratro economico, lasciando magari a B. – sulla falsa riga di quanto avvenne nel ’94 con il decreto Salva Rai – la possibilità di un intervento “salvifico”, sul modello – Alitalia. E chi poi avrebbe più il coraggio di parlare del suo, personalissimo, conflitto d’interessi?

da Il Fatto Quotidiano n°38 del 5 novembre 2009

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