Hanno perso i partiti tradizionali. Hanno vinto i presunti ribelli, figli unici di un sistema a cui in qualche modo si oppongono. La Francia al tempo degli attentati terroristici, della presidenza Trump e della Brexit, esce dal primo turno delle elezioni presidenziali frastornata, ma tutto sommato in piedi e consapevole di essere entrata in una nuova fase della storia. Il ballottaggio è lo specchio del nuovo mondo: da una parte l’ex banchiere Emmanuel Macron (23,8 per cento con 8 milioni e 273mila voti), uno che ha deciso di fondare il movimento En Marche! per correre alle elezioni da solo, dall’altra Marine Le Pen (21,6 per cento con 7 milioni e 515mila preferenze), la leader dell’estremista e tanto rivendicato anti-sistema Front National. Il primo ha archiviato i socialisti, di cui tra le altre cose è un prodotto, al grido di “non sono né di destra né di sinistra”; la seconda ha ucciso i Repubblicani, gli ex gaullisti, rosicchiandone ogni giorno di più temi e battaglie. Resiste aggrappandosi con le unghie al bordo Jean-Luc Mélenchon (19,5, 6 milioni 805mila voti): un altro ex socialista che ha giocato la sua partita fuori da tutti i campi tradizionali e trascinando la sua sinistra a 19 per cento, un record. Fuori – per la prima volta del – i gaullisti di François Fillon (19,9 e 6 milioni e 930mila voti), demoliti e umiliati i socialisti di Benoit Hamon (6,3 e solo 2 milioni e 207mila voti). Hanno perso i partiti tradizionali, le loro strutture chiuse e farraginose, la loro lentezza nel modificare approccio e modificarsi. Il campanello d’allarme è stato il disgusto verso la politica e la richiesta di cambiamento dell’elettorato nel bel mezzo della presidenza di François Hollande: il disagio l’hanno sentito tutti, hanno saputo rispondere solo quelli che si sono presentati come “nuovi” prima di tutti gli altri. Che sia l’Italia o gli Stati Uniti, la dinamica ormai è sempre più simile.

Macron è l’emblema di questo cambiamento. A lui che è stato ministro dell’Economia con Hollande, i socialisti avevano fatto capire che avrebbe dovuto mettersi in fila prima di candidarsi come presidente “perché troppo giovane”. Si è inventato un Movimento, che si pone come obiettivo quello di prendere voti a destra e a sinistra. Non è stato tanto importante l’essere effettivamente fuori dalle parti, ma il saper dimostrare che con lui non ci sarebbe più stata la vecchia guardia. Quando ancora mancano tutti i dati definitivi, il leader di En Marche! ottiene 34 dipartimenti su 101, distribuiti soprattutto sulla zona ovest. Vince in quasi tutte le città più importanti. Vince a Parigi, di solito sempre a sinistra, con 375005 voti e il 34,83 per cento dei consensi: segue Fillon che qui prende addirittura 284mila voti facendo uno dei risultati migliori e poi Mélenchon con 210mila preferenze. Vince a Lione, città di cui è sindaco Gérard Collomb, uno dei suoi primi sostenitori: 71,084 voti per lui (30,3 per cento), dietro ha Fillon con 54mila preferenze e Mélenchon addirittura 53mila. A Strasburgo tocca il 27,7 per cento dei consensi con oltre 29mila voti; dietro di lui Mélenchon arriva al 24,3 (25.692); seguono Fillon al 19,8 e Marine Le Pen al 12,1. E’ sua anche Bordeaux: 35,223 voti (31,2) poi Mélenchon (23,4), Fillon (21,8), Hamon (10). A Nord vince a Rennes dove prende 29,090 voti (31,8 per cento), sempre davanti a Mélenchon (25,8) e con una Le Pen che non va oltre il 6 per cento.

Marine Le Pen è il secondo trucco di queste elezioni presidenziali. Figlia dell’ex candidato del Front National e di una della famiglie più ricche della Francia, dal 2004 siede a Bruxelles come eurodeputata. Più establishment di così si muore, ma per gli elettori non ha importato. Ha saputo presentarsi come quella che, fuori da qualsiasi regola o compromesso, è pronta ad andare contro il sistema: quindi contro ogni richiesta dell’Ue e pronta ad andare fino in fondo, che sia l’uscita dalla Nato o quella dall’Euro. Marine riesce nell’impresa che fu possibile solo al padre: arrivare al secondo turno delle elezioni presidenziali rompendo il tabù. Nonostante gli annunci non è contenta: avrebbe voluto arrivarci come trascinatrice e invece le tocca inseguire, in una battaglia che appare già persa. A risultati ancora parziali si porta a casa 40 dipartimenti. In sostanza trionfa nelle campagne e nelle periferie del Paese e perde (straperde) nelle città. In particolare nella zona della Provenza, la Corsica e nel nord-est. Tra i successi sicuramente c’è il risultato nel dipartimento Pas-de-Calais, al centro della crisi migranti nei mesi scorsi: la Le Pen prende 286,153 voti (34,3), distanziando il secondo Jean-Luc Mélenchon che si ferma al 19.1 (159,341 preferenze). Guardando la cartina finale del voto però, la leader del Front National non può dire di aver vinto in nessuna delle città principali della Francia. L’esempio è Parigi, nel bene e nel male: qui la Le Pen non supera nemmeno il 5, si ferma al 4,9.

Tra gli sconfitti ci sono sicuramente i gaullisti di François Fillon. Vincitore a sorpresa e con un plebiscito delle primarie della destra di novembre scorso, fino a tre mesi fa di lui si diceva che la sua vittoria sarebbe stata come segnare un rigore a porta vuota. Lo scandalo dei presunti impieghi fittizi a moglie e figli ha completamente rivoltato le sue sorti e oggi è uno dei grandi sconfitti dell’elezione, arrivando appena prima di Jean-Luc Mélenchon. Vince in soli sei dipartimenti, tra cui l’Haute-Savoie e la Sarthe (sua zona d’origine). Tra le grandi città strappa un po’ a sorpresa Nizza: qui prende 42,190 voti (26,1 per cento), seconda Marine Le Pen con 40,874 voti (25,2), solo terzo Macron con 33.169 voti (20,5 per cento). Da segnalare il buon risultato di Lione e Parigi, dove arriva secondo – al contrario della tendenza generale – e tenendo il passo del vincitore Macron.

Per i socialisti è una sconfitta annunciata, ma che fa comunque molto male. Il frondista Benoit Hamon quando ha vinto le primarie sapeva che la sua campagna sarebbe stata un massacro, ma così è troppo anche per chi è pronto ad andare alla guerra. Paga tutto: il suo essere stato un frondista quando il Ps era al governo e quindi l’aver perso per strada tutto l’appoggio del vecchio partito, ma anche le colpe dei suoi e in particolare dell’uscente François Hollande che lascia un pessimo ricordo (forse anche oltre le sue effettive responsabilità). Hamon non vince in nessun dipartimento, perdendo il vantaggio guadagnato dal suo predecessore alle scorse presidenziali.

Il populismo di sinistra di Jean-Luc Mélenchon, quello teorizzato dalla filosofa belga Chantal Mouffe e che tanto è piaciuto ell’ex socialista, ha avuto il successo sperato. Il leader de la France Insoumise è stata l’ultima sorpresa in una campagna piena di sorprese e per un attimo ci aveva creduto anche lui. Non ce la fa ad andare al secondo turno, ma con il suo partito “nuovo” e soprattutto con la formula nuova di gestione della campagna dimostra di aver capito che qualcosa sta succedendo. Vince in cinque dipartimenti, di cui tre d’oltremare (Martinique, Reunion e Guyana), ma riesce a strappare alcune città importanti. Prima fra tutte Marsiglia, città che riesce a strappare a Marine Le Pen: 90mila e 847 voti (24,82 per cento) contro gli 86.633 della leader del Front. Macron è terzo con 74mila preferenze. E’ sua anche Lille (la volta scorsa qui vinse Hollande), dove prende il 29,92 per cento delle preferenze con 27001 voti e solo dietro rimane Macron (25) con 22.574 voti. Mélenchon vince anche a Nimes e Le Havre, mentre è secondo a Bordeaux, Dijon e Strasburgo.

Da Macron a Mélenchon, passando per la Le Pen, il segnale è chiaro e rischia di influenzare tutta la politica futura della Francia nei prossimi cinque anni e non solo. “Ci sono delle serate che lasciano delle tracce indelebili nella storia”, ha scritto a caldo le Monde. Il 23 aprile 2017 si candida a essere una di queste: la sera in cui i partiti tradizionali sono stati battuti a tavolino dai figli che loro stessi avevano creato.

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