Chi lo bolla come un “soccorso rosso” a Monte dei Paschi, chi come un velenoso sgarro ai tecnocrati di Bruxelles. Di sicuro è una scelta che rischia di farci fare una pessima figura proprio nel cuore dell’Europa, minando anche l’ultima cosa su cui ci fanno ancora credito: la cultura. E’ ufficiale: il Ministero degli Esteri ha deciso di vendere anche la sua storica palazzina in rue de Livourne 38 che ospita da sempre consolato e Istituto di Cultura di Bruxelles per trasferirli insieme all’ambasciata in una palazzina di sei piani che ha comprato da Monte Paschi in rue Joseph II, al civico 24, una zona adiacente al Parlamento Europeo. A parte la cifra d’acquisto, 13,5 milioni di euro, l’operazione risponde a una logica funzionale ma finisce per liquidare la Cultura come una Cenerentola qualsiasi, non come il famoso “volano dell’internazionalizzazione” che tutti – a parole – invocano. Invece si vende il gioiello di famiglia e per uno zircone: un cubo di cemento senza neppure le finestre.

La sede attuale in rue di Livourne è una splendida maison de maître – nel cuore di Bruxelles, nella zona più dinamica e “viva” della città – costruita negli ultimi decenni dell’Ottocento e divenuta nel 1932, grazie all’iniziativa di alcune fra le maggiori imprese dell’epoca (Olivetti, Fiat, Pirelli), la “Casa d’Italia”. Lo Stato l’ha riscattata dopo la Guerra impegnandosi a mantenere integro il patrimonio. Gli interni furono decorati da artisti italiani e ospitano oggi, oltre agli uffici e alle aule per i corsi, una magnifica biblioteca (circa 18mila volumi), un’ampia sala adibita alle conferenze e alle mostre, un teatro per 350 persone destinato ai grandi eventi (tra i tanti ospiti illustri, Francesco Rosi, Alberto Moravia, Dino Risi, Italo Calvino…) o all’appuntamento settimanale con la proiezione di film italiani.

Dove finirà il blasonato istituto di cultura? Nel cortile della palazzina ex Monte Paschi, dentro un anonimo prefabbricato di due piani senza finestre e di dimensioni ben più modeste delle attuali, neppure visibile dall’esterno (foto). Appena divenuta di dominio pubblico, la notizia è stata ripresa da diversi quotidiani. Si mobilitano intellettuali e docenti belgi e italiani. La Liberté titola: “La Culture italienne a Bruxelles assassiné”.  E nell’occhiello: “Le attività culturali troveranno posto in un cubo di cemento senza finestre usato come passaggio dai dipendenti”. Una petizione al ministro degli Affari Esteri Angelino Alfano è stata lanciata per iniziativa di Claudio Gigante, professore di letteratura italiana all’Università francofona di Bruxelles (ULB) e si trova anche su Change.org: “Salvate il più importante istituto culturale estero di Bruxelles”.

Il trasferimento è previsto nell’estate 2018. C’è ancora tempo, dunque, per un ripensamento. A parte le incognite sui valori dell’operazione (le vecchie sedi sono ancora da vendere), la scelta di liquidare una tradizione e un luogo simbolo dell’italianità per confinarli in un container è un duro colpo per la comunità di connazionali a Bruxelles. Che constatano, viceversa, come altri Paesi  – la Germania con il Goethe Institut ma anche la Spagna – si stanno muovendo nella direzione esattamente opposta di investire somme importanti sulle sedi e sui servizi degli istituti di cultura. Potenti veicoli delle tradizioni e dell’industrie nazionali. Per chi non li rottama.

Bruxelles e le altre operazioni immobiliari in corso saranno oggetto della prossima riunione plenaria del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (CGIE), che è organo consultivo di Governo e Parlamento. “Da alcuni anni – spiega il segretario Michele Schiavone – il Ministero ha incominciato ad alienare beni demaniali all’estero rimasti vuoti in seguito alla chiusura di sedi di rappresentanza consolare e di istituti di cultura. È il caso delle sedi consolari di Monaco di Baviera, di Lugano, di Marsiglia, della casa d’Italia di Lucerna e di ulteriori immobili sparsi nel mondo e contenuti in una lista, che ne prevede oltre quaranta”. Interventi di cura dimagrante motivati dal recupero del gettito programmato nella tabella VI del bilancio dello stato. Il recupero finanziario triennale programmato indica delle somme che si aggirano attorno ai venti milioni di euro annui. “Intanto si sta andando oltre la vendita delle strutture non più utilizzate e si assiste a decisioni opinabili sulla dismissione insensata di immobili, che danno il senso di una svendita della gioielleria di famiglia che rifugge qualsiasi interlocuzione con la rappresentanza civile e politica degli italiani all’estero”.

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