Tre rinvii nel giro di due mesi. Non c’è stato nulla da fare: slitta a marzo l’esame del disegno di legge sul testamento biologico alla Camera. Dopo il primo rinvio il 30 gennaio e un secondo a metà febbraio, sfuma anche la data del 27 febbraio, mettendo seriamente a rischio l’approvazione della legge in questa legislatura sulla cui fine ad oggi non ci sono certezze. L’ennesimo è dovuto al fatto che la Commissione Affari sociali (quella di merito) non ha potuto votare il mandato al relatore, perché tardano ad arrivare i pareri delle Commissioni Affari costituzionali e Giustizia che, infatti, hanno manifestato la necessità di avere più tempo a disposizione per l’esame in sede consultiva vista la complessità del provvedimento. Il tempo finora avuto non è bastato a dissolvere i dissidi interni tra i membri degli organi collegiali, soprattutto in merito al Dat (Dichiarazione anticipata di trattamento), uno dei punti cardine del testo. Divergenze a parte, secondo quanto annunciato, i pareri dovrebbero essere espressi entro mercoledì, 1 marzo, in modo che la XII Commissione possa concludere l’esame entro il 2 marzo. “Non accetterò altri rinvii – ha spiegato il presidente della commissione Affari costituzionali, Andrea Mazziotti – l’accordo tra i gruppi è che mercoledì si chiude. Spero che nessuno lo violi”. E mentre la relatrice Donata Lenzi (Pd), consapevole che questo ennesimo rinvio rende più incerti i tempi per l’esame del testo, si augura che in Assemblea “si possa poi svolgere un dibattito costruttivo, senza finalità ostruzionistiche”, in realtà si preannuncio un iter pieno di ostacoli.

Il testo – Cinque gli articoli del testo che approderà in Aula a marzo. L’articolo 1, sul ‘Consenso informato’, stabilisce che “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata” e che il consenso informato deve essere espresso in forma scritta. E sebbene il disegno di legge preveda che “ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere ha il diritto di rifiutare in tutto o in parte qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico” e “di revocare in qualsiasi momento il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l’interruzione del trattamento”, il rifiuto o la rinuncia “non possono comportare l’abbandono terapeutico”. Il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente e quest’ultimo “non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali”.

E mentre l’articolo 2 disciplina i casi in cui siano coinvolti minori e pazienti incapaci, l’articolo 3 è uno dei più contestati e contiene le ‘disposizioni anticipate di trattamento’, attraverso le quali qualunque cittadino maggiorenne, capace di intendere e di volere, “in previsione di una eventuale futura incapacità di autodeterminarsi” potrà esprimere le proprie convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari “nonché il consenso o il rifiuto rispetto a scelte diagnostiche o terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari, ivi comprese le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali”. Nell’articolo 4 si prevede una ‘pianificazione delle cure condivisa’ tra medico e paziente in caso di patologia cronica e invalidante o se vi sia un’evoluzione della malattia che porti inarrestabilmente al peggio, alla quale il medico deve attenersi. Il quinto articolo contiene le disposizioni transitorie.

Le polemiche – Il terzo rinvio ha scatenato diverse reazioni. “Dopo oltre un anno di dibattito e decine di audizioni, siamo costretti ad assistere a un terzo rinvio a una nuova data che, a questo punto, dobbiamo considerare essere scritta sulla sabbia” ha dichiarato Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, secondo cui manca “la volontà politica di dare un impulso al percorso di approvazione della legge, in particolare da parte del Partito democratico”. E una dura presa di posizione: “Da parte nostra, con Mina Welby e Gustavo Fraticelli continueremo ad aiutare i malati ad andare a morire in Svizzera fino a quando non ci sarà una legge anche in Italia”.

Il fronte dei cattolici non intende indietreggiare e si prepara con i propri deputati centristi e di centrodestra a iniziare la battaglia anche in sede consultiva. Nel frattempo, allungati i tempi per l’approdo alla Camera dei deputati, resta da capire quali saranno quelli per il passaggio in Senato, di certo non privo di ostacoli. Lo dicono le polemiche delle ultime settimane con i parlamentari cattolici che hanno accusato il Pd di voler impedire il dibattito proprio sull’articolo 3 e di ridurre il ruolo del medico a quello di ‘mero esecutore’ rispetto alla volontà del malato. Così per Alessandro Pagano, deputato della Lega-Noi con Salvini, il rinvio del ddl sul testamento biologico deve “obbligare tutti a un’ulteriore e approfondita pausa di riflessione”, mentre “bisogna dare al medico possibilità di scelta e non renderlo schiavo di questa legge omissiva”. E nel merito del testo: “L’idratazione e la nutrizione artificiale vanno intese come trattamenti vitali e non come terapia. Se non ci sarà alcun segnale in questo senso in Aula faremo le barricate”.

Le modifiche al testo – L’associazione Luca Coscioni, invece, pur considerando il disegno di legge “una buona base di partenza sulla strada di una maggiore libertà nelle scelte di fine vita”, manifesta alcune perplessità. “Nella prima versione presentata dalla senatrice Donata Lenzi – spiegano Marco Cappato e Filomena Gallo a ilfattoquotidiano.it – si riconosce il carattere vincolante delle disposizioni e non si escludono la nutrizione e l’idratazione artificiale dalle terapie che possono essere oggetto di disposizione anticipata”. Dall’altro lato, però, la Commissione Affari Sociali “anche per liberarsi di un ostruzionismo paralizzante – sottolineano – ha aggiunto alcuni passaggi ambigui, che rischiano di svuotare di fatto il carattere vincolante delle disposizioni”. L’associazione fa riferimento ai passaggi sul principio della tutela della vita, “espressione dietro la quale si cela in realtà la pretesa di imporre una vita che, per il malato, è divenuta una tortura”, ma anche quello alla deontologia professionale, “innalzata a fonte del diritto per determinare a quali cure il malato non può accedere”. Secondo Cappato e Gallo è inoltre “importante che la libertà di scelta del malato si estenda alla cosiddetta ‘sedazione continua profonda’, cioè quella tipologia di cura palliativa che accompagna il paziente fino alla morte senza soffrire, così che divenga un diritto esplicitamente previsto, al quale corrisponda un dovere che non lasci spazio a soprusi”.

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