Oliver Schmidt, uno dei manager di Volkswagen arrestati negli Usa per il Dieselgate, rischia il carcere a vita. Anzi, stando a quanto scrive Bild on line la pena, nel peggiore dei casi, potrebbe arrivare a 169 anni di prigione. Così i legali del gruppo automobilistico tedesco, secondo Reuters, hanno avvertito i dirigenti che è meglio se in questo periodo non vanno negli Stati Uniti. La cautela riguarda anche coloro che ancora non sono stati raggiunti da alcuna accusa: “Non c’è bisogno di testare i limiti”, ha spiegato una fonte all’agenzia.

Meglio essere prudenti, insomma, dopo che in tutto sei manager ed ex manager del produttore di Wolfsburg sono finiti sotto inchiesta. Il fatto che la società abbia accettato di pagare una multa di 4,3 miliardi per chiudere il caso non fa venir meno le preoccupazioni dei singoli dirigenti, visto che il Dipartimento di Giustizia ha preannunciato che continuerà a perseguire “gli individui responsabili di aver orchestrato questa cospirazione“. Di qui il warning dei legali. E non è un caso se al Salone di Detroit si è fatto vedere solo Herbert Diess, numero uno del brand Volkswagen, che è entrato nel gruppo solo due mesi prima dello scoppio del Dieselgate.

Allo stesso Schmidt sarebbe stato consigliato di non recarsi oltreoceano. L’ha fatto lo stesso e il 9 gennaio è finito in manette con l’accusa di aver partecipato alla frode e alle violazioni delle leggi americane sull’ambiente e di aver giocato un ruolo cruciale nel tentativo di nascondere le manipolazioni sui dati delle emissioni e indurre gli inquirenti in errore. Giovedì il giudice, al termine di un’udienza che si è tenuta a Miami, ha rigettato la richiesta del 48enne che tra il 2014 e il marzo 2015 era incaricato dell’ufficio per l’adeguamento alle norme della compagnia automobilistica di essere rimesso in libertà su cauzione, paventando il rischio di fuga. Per gli altri cinque manager incriminati negli Usa l’ufficio della polizia criminale federale tedesca ha detto di non aver ricevuto alcuna richiesta di estradizione

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