Poste Italiane deve pagare il rendimento indicato sul retro del buono fruttifero. E a nulla vale “la mera apposizione di un timbro che ne modifichi la serie” per giustificare un taglio degli interessi del titolo. Lo stabilisce la sentenza 6430/2016 emessa dalla quarta sezione civile del tribunale di Catania che ha spezzato una lancia a favore dei consumatori sull’annosa vicenda dei buoni postali emessi in lire fra il ’74 e l’ ’86. Titoli, cioè, i cui rendimenti vennero decurtati per decreto dal governo Goria nel 1983 senza un’adeguata comunicazione ai risparmiatori. La sforbiciata ai rendimenti venne infatti pubblicata in Gazzetta ufficiale, ma Poste continuò a vendere buoni con le indicazioni dei vecchi tassi d’interesse che oggi, però, l’azienda si rifiuta di pagare facendo scattare un’ondata di contenziosi.

Nel caso sottoposto al tribunale di Catania, il gruppo guidato da Francesco Caio ha “eccepito che l’emissione del titolo serie P – con dette condizioni – è avvenuta per mero errore, atteso che detta serie Bpf (buono postale fruttifero, ndr) non era più vigente dal 1984” come si legge nella sentenza. Per il giudice però “l’assunto non è condivisibile”.“La discrepanza tra le prescrizioni ministeriali e le indicazioni riportate sui buoni postali offerti in sottoscrizione alla richiedente deve essere risolta dando la prevalenza alle seconde” prosegue il documento.

Senza contare che, richiamando una sentenza della Cassazione (la numero 13979 del 15 giugno 2007), non sarebbe possibile altra interpretazione dal momento che porrebbe “a carico dei sottoscrittori le conseguenze di un errore imputabile all’amministrazione” finendo per “compromettere (o almeno, per indebolire grandemente) le esigenze di tutela del risparmio diffuso cui si ispirano le norme”.

Inoltre, secondo il giudice, il buono “ha ad oggetto il contenuto enunciato dai buoni, anche quando in precedenza, con decreto ministeriale, siano state modificate le relative condizioni”. Ma soprattutto “non è possibile ritenere che la mera apposizione di un timbro che ne modifichi la serie e che si sovrapponga alla tabella di calcolo degli interessi possa superare il contenuto proprio del titolo per come emesso”. Di qui la decisione di condannare Poste al pagamento dell’intero importo (un milione di vecchie lire, più interessi) indicato dal buono datato 19 gennaio 1987, oltre al risarcimento di un migliaio di euro per le spese legali. Non si tratta di una cifra consistente. Tuttavia la sentenza si inserisce su una giurisprudenza sempre più corposa che dà ragione ai risparmiatori proprietari di vecchi buoni postali con rendimenti a due cifre. “E’ una buona notizia per tutti i cittadini – ha dichiarato in una nota la Federconsumatori, che ha sostenuto le ragioni del ricorrente siciliano – Ci auguriamo quindi che questa ordinanza induca Poste Italiane ad adottare condotte e comportamenti più rispettosi dei legittimi diritti dei consumatori che con fiducia si affidano all’azienda”.

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