“Se volete trovarvi bene in Italia, dovete scoprirla per conto vostro, affidandovi alla vostra fortuna e al vostro istinto, perché una grande legge dell’Italia è proprio questa: che da noi, tutto ciò che ha un titolo, un nome, una pubblicità, vale, in ogni caso, molto meno di tutto ciò che è ignoto, nascosto, individuale”, Mario Soldati.

Prendo spunto da questa dicotomica descrizione di Mario Soldati per parlare di un libro, appena pubblicato, avente la capacità di indagare l’ignoto, il nascosto , l’individuale del nostro Bel Paese. Con le sue consuete capacità di condurre il lettore in viaggi indimenticabili per la miriade di dettagli mirabilmente documentati, Attilio Brilli, attraverso Il grande racconto delle città italiane edito da Il Mulino, ci insegna a saper corteggiare un luogo e trarne le più intime risonanze, i più raffinati piaceri; il tutto con un piacevole smarrimento estasiato.

Il volume è bellissimo e ricco di immagini che lo rendono davvero pregiato; insomma si ha la sensazione di possedere una vera opera d’arte. E questa è ormai una caratteristica “alchemica” dell’autore che con una straordinaria dissolvenza temporale consente una illuminante esplorazione nelle città italiane, donando nuova luce elegante e incantevole al tempo stesso.

E’ questo un libro di vedute scomparse, sepolte, di labirinti e scacchiere, di città nello specchio del mare e di quelle collinari affascinanti nei loro piccoli borghi recentemente perduti a causa del sisma con intere comunità che nella perdita hanno forse apprezzato tardivamente il valore del loro patrimonio e del loro splendore.

Di ben altro tenore è invece l’opera di Brilli tesa a custodire l’incanto delle città italiane proprio per conservare l’identità e per evitare di misconoscere il senso del luogo. Aldilà del sisma l’autore sottolinea che “la fragilità di gran parte delle città italiane, sottoposte all’impatto della vita di oggi e frastornate dall’onda del turismo di massa rende ancor più ampia la forbice che separa la favola del viaggio illusoriamente atemporale dalla drammatica registrazione dell’attualità”.

Brilli argomenta, con amara evidenza, che agli occhi delle culture straniere più sofisticate e attente, il destino delle città italiane è sembrato costantemente in bilico e per questo si è fatto pressante l’invito a visitarle prima che potessero diventare irriconoscibili. Pensando alla violenta invasione di tipo barbarico che sovente colpisce le nostre meraviglie si concorda pienamente con l’autore quando afferma che ogni approccio conoscitivo di una città d’arte o di storia deve essere una conquista personale, dalla quale si esce comunque diversi.

Con grande spirito critico, tipico di un difensore della bellezza, Brilli sottolinea che le città devono essere considerate alla stregua di luoghi appunto individuali, di creature viventi, con le fisionomie, i caratteri e le personalità loro, “e non come spazi inerti e informi dove le forze spesso cieche dell’economia e della politica possono scatenarsi a piacere”.

Tutta l’intensa opera di Brilli interpreta sapientemente lo spirito dei luoghi mettendone in luce l’identità per intuirne i canoni originari e ritrovarne l’incanto nascosto o soltanto sopito. Il volume è di enorme spessore e in alcuni tratti raggiunge livelli altissimi di pura poesia; le parole di Brilli sono come incastonate al pari di quelle sicure costruzioni in pietra che le rendono capaci di resistere al tempo e in molti casi anche agli eventi sismici.

Dimentichiamo spesso – afferma l’autore – che queste città sono gelose depositarie di una sedimentazione culturale lontana e che un troppo ruvido contatto può provocare, per così dire, l’evaporazione della loro identità, come accade a una dissepolta reliquia che venga improvvisamente esposta all’aria. Quanta verità in queste righe. E quanto rispetto per quel concetto di tutela spesso frettolosamente confuso con azioni ben diverse.

Attilio Brilli ci consegna un’opera sublime e lo dimostrano le seguenti parole, atte a descrivere le città collinari, che arrivano dritte al cuore come la vista di un dipinto che lascia senza fiato. “Da lontano, quelle città murate con i loro bastioni di cinabro, le rocche di ambrata e consunta arenaria, i tetti che precipitano lungo ripide viottole, possono apparire l’una simile all’altra. In realtà ognuna ha il suo inconfondibile profilo e una personalità tutta propria dovuta alla morfologia del terreno in cui sorge, ma anche alle sue origini e alle sue vicende storiche. E ognuna ha una tonalità particolare e un’inimitabile testura dovuta entrambe alla pietra del posto, per non dire alle diverse sagome degli edifici e dell’impiego fantasioso degli spazi”.

Brilli permette al lettore, citando Edith Wharton, di conoscere le città italiane presenti nel volume e di accedere alle stesse da una via inconsueta, da un ingresso secondario; solo così è possibile prenderle di sorpresa, alle spalle e coglierne i tratti originali, prima che svaniscano nel trambusto della vita moderna.

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