di Marco Marangio

Tanto si è letto e tanto si è visto negli ultimi mesi, fra dibattiti accesi e scandali di email nel mirino dell’Fbi. Forse anche troppo, sopratutto per noi italiani, già impegnati con il referendum costituzionale. Quelle americane sono le elezioni non soltanto più attese, ma sopratutto più seguite dal resto del mondo. Proprio per questa loro connotazione internazionale – più che giusta considerando che gli Usa dettano gran parte delle leggi del mercato capitalistico – sono però la cartina di tornasole della situazione politica globale.

Purtroppo tutti i cittadini, europei ed extraeuropei, non hanno potuto non constatare una semplice e dura verità: si è ormai lontani dal monito politico più famoso dell’ultimo decennio, ovvero quel Yes we can” pronunciato da Barack Obama. Non era solo un caso di una riuscitissima cash phrase, ma l’annuncio di un cambiamento radicale. Così è stato, nel bene e nel male. Oggi, però, dopo ben due mandati presidenziali, l’America di Obama ha perso mordente, enfasi e il modo in cui si è protratta la campagna elettorale ne è la prova.

Causa principale di tutto ciò è stata la scelta dei candidati. I poli contrapposti hanno visto, da un lato, l’uomo più mediaticamente furente e violento che la Tv generalista potesse immaginare, dall’altro, una donna di polso, ma rappresentativa dell’establishment come la Clinton. Se Trump ha fin troppo esposto e sovrastimato la propria deriva autoritaria con la dicotomia Isis-immigrazione, la Clinton si è più volte considerata favorevole al Ttip fra Ue e Usa e ha votato in favore dell’invasione in Iraq.

Questi pochi e riassuntivi punti si sono aggiunti al denominatore dettato nei talk show. La loro parabola è stata sempre più discendente, sopratutto nel penultimo dibattito dove i toni registici hanno rasentato brutalmente tonalità d’avanspettacolo. Tanto è stato l’abbassamento della qualità contenutistica e politica, che molti italiani guardando ai propri politici e alle loro esternazioni televisive non è parso di essere poi così malridotti.

Non è stata tanto importante la vittoria di Trump, quanto ciò che è stato rappresentato sinora dalla patria dell’economia mondiale. Molte cose sono state dette, ma maggiori sono state le cose sottaciute.

Ciò che gli americani non ammettono è che, benché si sforzino nel polarizzare le ideologie, non esistono più ideali esclusivamente democratici o repubblicani; ciò che gli americani non dicono è che la loro verve politico ideologica si è assopita come nel resto del mondo, tanto che l’unico personaggio novus da presentare contro chi racchiudeva assonanze autoritarie altri non era se non una ex first lady, tanto da far vincere il milionario. Ciò che gli americani non dicono è che non era necessario far vincere Trump, poiché a fare scacco matto sulla scacchiera socio economia globale restano pur sempre loro: guerra e capitalismo.

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