La vittoria di Urbano Cairo nella sfida per la conquista del Corriere della Sera è solo l’ultimo capitolo di una lunga storia di passaggi di mano e scontri per la scalata al primo quotidiano italiano, fondato nel febbraio del 1876. Nel 1974 la proprietà della casa editrice passò dalla famiglia Crespi ai Rizzoli. Dall’anno prima anche gli Agnelli erano entrati nell’azionariato con una quota di minoranza poi ceduta a Rizzoli e ricomprata negli anni Ottanta. Travolto dalle vicende legate al dissesto del Banco Ambrosiano e allo scandalo P2, il capitale del quotidiano cambia di nuovo indirizzo e nel 1984 vede entrare una cordata composta dal gruppo Agnelli, Mediobanca, l’allora Montedison e la finanziaria Mittel che ruotava intorno a Giovanni Bazoli.

Da allora è stato un lungo ripetersi di cambiamenti negli assetti – compreso l’ingresso nell’azionariato dei Romiti che usciranno definitivamente da via Solferino nel 2004 – e di assalti e difese al Corriere culminati con la più celebre e violenta battaglia, ovvero la fallita scalata di Stefano Ricucci, finita nell’estate del 2005 dopo lo scandalo dei ‘furbetti del quartierino‘. L’ex immobiliarista della provincia romana cominciò a comprare pacchetti del gruppo editoriale fino ad arrivare vicino al controllo della società, ma nel salotto buono della finanza italiana non entrerà mai. Il patto d’acciaio tra Bazoli e Cesare Geronzi, infatti, restò ben saldo e alla fine la partecipazione fu ripartita tra i partner istituzionali del Patto di sindacato e Giuseppe Rotelli, il re della sanità lombarda scomparso nel 2013.

Tra tensioni, consultazioni del patto tra soci, avvicendamenti alla guida e piani strategici che non riescono a invertire una traiettoria di crisi si arriva alla svolta di via Solferino: nell’estate 2013 dopo un acceso dibattito che investe anche i giornalisti del quotidiano, i soci vengono chiamati a ricapitalizzare con 600 milioni di euro il gruppo, gravato da 800 milioni di debiti legati soprattutto all’acquisto nel 2007 della spagnola Recoletos. A distanza di pochi mesi dall’operazione lo strappo: il patto di sindacato che lega soci storici come Fiat, Mediobanca, Pirelli, Intesa Sanpaolo, Generali e la famiglia Merloni, in possesso di oltre il 60% del capitale, viene disdetto.

A quel punto sotto la guida del nuovo amministratore delegato Pietro Scott Jovane parte un imponente piano di dismissioni volto a tagliare il debito. Vengono così venduti pezzi pregiati del gruppo come la sede storica di via San Marco e di via Solferino, il 44,45% di Finelco (Radio 105, Radio Monte Carlo, Virgin Radio Italia e Virgin Radio Tv) e, infine, la Rcs Libri che finisce nelle mani del gruppo Mondadori della famiglia Berlusconi.

L’ultimo terremoto risale a pochi mesi fa: nel marzo scorso il socio storico Fca ha annunciato a sorpresa l’addio alla casa editrice del Corriere della Sera, lasciando di fatto il gruppo senza un padrone. All’inizio di aprile Cairo, da sempre sostenitore della necessità di un “editore puro” per Rcs, ha fatto la sua mossa. Seguita dalla risposta dei soci storici in cordata con Andrea Bonomi e da una serie di rilanci da entrambe le parti, che fino all’ultimo si sono sfidate a colpi di accuse reciproche e invocando l’intervento della Consob come arbitro. Ora la svolta nell’assetto proprietario. Ma potrebbe non essere finita qui: le schermaglie degli ultimi giorni fanno sospettare che la battaglia non sia ancora finita e che il prossimo capitolo potrebbe svolgersi in tribunale.

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