Ebbene sì, l’abbiamo fatto. Siamo andati a www.cambierai.gov.it e abbiamo compilato il questionario che starà lì per quarantacinque giorni a partire da ieri (martedì 17 maggio) in attesa delle risposte di chi vorrà dire la sua sulla futura Rai. Le domande sono ovviamente numerose, ma a parere di Sciò Business quelle strategiche, che possono determinare per davvero gli orientamenti del governo e della dirigenza Rai sono tre.

Nella prima si chiede cosa fare dell’extra gettito del canone atteso dalla riscossione in bolletta elettrica che stroncherà l’evasione (c’è chi stima che potrebbero derivarne 400 milioni). Tra le alternative d’impiego di questo vagheggiato tesoretto non abbiamo avuto esitazioni a indicare quella di ridurre il più possibile i ricavi pubblicitari della Rai (in alternativa avremmo potuto scegliere di auspicare un aumento della produzione o altre cose meno misurabili e vincolanti). Perché ci pare essenziale diminuire, fin quasi a toglierla, la pubblicità dalla Rai? Perché nella televisione italiana accade che tutti, il pubblico e i privati siano al servizio dei ricavi pubblicitari (anche la Rai, perché si tratta del ricavo “da rincorrere” rispetto al canone che invece è fisso e sicuro) e di conseguenza tutte le tv si somigliano, e per gli italiani è come se ce ne fosse una sola.

Come ulteriore conseguenza, chi produce per la tv non viene sollecitato da impostazioni editoriali diversificate ed è indotto a fare sempre lo stesso tipo di prodotto, rivolto sempre alla stessa idea di pubblico. In altri termini, la assenza di una diversità strutturale fra l’assetto organizzativo e finanziario del Servizio Pubblico e quello delle tv private, toglie una chance di sviluppo produttivo e culturale a tutto il Paese (e non cesseremo mai di invidiare l’Inghilterra, che invece ha organizzato le sue cose assai per bene, da questo punto di vista, con la BBC monda di pubblicità e il resto che invece ne gronda).

La seconda domanda importante è quella che chiede se la Rai debba produrre un canale in lingua inglese, ovviamente rivolto al resto del mondo, ai viaggiatori d’albergo, alle elites d’altrove, come fanno BBCworld, France24 o Deutsche Welle, per citare solo alcuni esempi. Abbiamo risposto di sì con entusiasmo perché il nostro benessere fisico dipende dalle esportazioni e l’Italia è il brand che le riveste e le pone in evidenza, mentre il benessere culturale dipende dalla capacità di guardare oltre il naso, di comprendere il mondo e quindi di parlargli. Tutto, tranne starsene rinchiusi nella aiuola dei nostri talk show.

La terza questione (articolata in un paio di domande) è se la Rai debba fare da “propulsore” della produzione audiovisiva nazionale, sia come fiction e film, sia come format vari di intrattenimento. Di sicuro finora non l’ha fatto perché alla politica degli ultimi quaranta anni bastava una tv implosa nel locale a garanzia delle rendite del Duopolio. Che è come accontentarsi, coi tempi che corrono, di avere i vigili urbani rinunciando all’Esercito. Quando invece la potenza narrativa di un Paese, se riesce a espandersi all’estero (e questo richiede una regia editoriale che solo la Rai può fare) permette all’Esercito di stare all’erta, sì, ma in caserma. A compilare il tutto, notizia tecnica, ci sono voluti cinque minuti, d’orologio.

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