In attesa che i kiwi prendano il posto delle arance bionde, in Calabria la situazione si trascina avanti un inverno dopo l’altro fra sfruttamento e illegalità.

Schermata 01-2457416 alle 13.26.34Se la condizione di lavoro dei neri è inaccettabile, quella abitativa è addirittura criminale: i migranti vivono principalmente nella baraccopoli di San Ferdinando, a est di Rosarno, e in una vicina fabbrica occupata senza luce, acqua calda e riscaldamento.

Due gironi infernali dove il diretto a un’esistenza dignitosa è vietato. “Alloggio e lavoro sono due facce della stessa medaglia”, spiega Celeste Logiacco, giovane e combattiva segretaria generale della Flai-Cgil nella Piana: “Un compenso dignitoso vuol dire non vivere in queste orrende baracche”. 

La tendopoli non ha niente da invidiare ai peggiori slum delle città africane. Attorno alle 72 tende istallate dalla Protezione civile durante le prime settimane della stagione agrumicola è sorta una baraccopoli fatta di casupole tirate su con pezzi di legno, cellophane e rifiuti. All’interno brulica un’umanità sull’orlo dell’oblio: almeno 1200 africani stipati in un’area che non può accoglierne più di 500. Tant’è che poco distante i braccianti hanno occupato una fabbrica dove il solo vantaggio è quello di avere un tetto in muratura sopra la testa.Schermata 01-2457416 alle 13.21.55

La situazione è grave e tiene le istituzioni col fiato sospeso. Il timore più grosso è che la disperazione si trasformi in rabbia come già accaduto a gennaio 2010.

Nella latitanza dello Stato i neri hanno imparato che possono contare solo su loro stessi e, anno dopo anno, il loro spirito di iniziativa si è fatto largo nello squallore fra piccoli affari leciti e meno leciti.

Così, aggirandosi nei vicoli fatiscenti, si scopre che in quel girone infernale è sbocciata una sorta di “slum economy”: l’economia del ghetto. In alcune baracche ci sono le macellerie, in altre negozietti che vendono beni di prima necessità. In altre addirittura sottospecie di locali notturni con televisione, stereo, playstation e vendita di alcolici.

Da una parte del campo una capanna è diventata una chiesa, dalla parte opposta una tenda si è stata trasformata in moschea. C’è chi vende un secchio di acqua calda per 50 centesimi e chi ha messo in piedi una ciclo-officina. Sì, perché, oltre ai furgoni dei caporali, l’unico mezzo che i migranti hanno per muoversi è la bicicletta. Non un dettaglio dato che ai neri è stato dato il permesso di stabilirsi solo a chilometri di distanza dai centri abitati.

Schermata 01-2457416 alle 13.15.54La storia della bidonville è tortuosa, piena di timidi passi in avanti a cui hanno fatto seguito clamorose retromarce. E’ soprattutto una cartina tornasole per valutare il fallimento delle politiche sociali.

Puntualmente viene smantellata in nome della dignità umana e altrettanto puntualmente risorge a causa della mancanza di alternative. Scaduta la convenzione con la Caritas, ora è gestita, per la somma simbolica di 100 euro al mese, dall’associazione Il Cenacolo, anche se gli africani sono completamente abbandonati a loro stessi. Gli unici a mettere piede lì dentro sono la Cgil, la parrocchia di San Ferdinando, Emergency e Medu (Medici per i diritti umani).

A gennaio la visita di uno sconcertato governatore Mario Oliverio (“E’ un lager”) ha smosso un po’ le acque. Peccato che le soluzioni individuate siano le stesse fallite negli anni precedenti: smantellamento e bonifica della baraccopoli. Per la gestione questa volta sarà il turno della Croce Rossa italiana che dovrà occuparsi della temporanea organizzazione del campo. Ma in Calabria la speranza è che la stagione agrumicola finisca il prima possibile in modo che l’esercito dei braccianti neri se ne vada in Puglia e poi, in estate, nella pianura Padana.

 

Articolo Precedente

Omicidi e violenze in famiglia: è una questione culturale, altro che gender

next
Articolo Successivo

Roma, l’affittopoli del Comune dura da dieci anni

next