Il presunto assassino di Alessia Della Pia, la ragazza di 39 anni picchiata brutalmente e uccisa domenica 6 dicembre nella sua abitazione a Parma, non doveva nemmeno essere in Italia. Su Mohamed Jella, 27enne di origine tunisina e compagno della donna, pendeva infatti dal 14 settembre scorso un ordine di espulsione dal suolo italiano emesso dalla questura di Ferrara, che però non è mai stato ottemperato. L’uomo, che ora è accusato di omicidio volontario, è ricercato in tutta Italia dalle forze dell’ordine, che hanno diffuso la sua foto segnaletica risalente al 22 settembre chiedendo a chiunque lo vedesse di rivolgersi immediatamente ai carabinieri. Alto circa un metro e settantadue, dalla corporatura esile, Jella porta un brillantino all’orecchio sinistro e gli mancano parecchi denti. Secondo le testimonianze dei vicini è stato lui, domenica 6 dicembre, dopo aver colpito a morte Alessia, ad allertare i soccorsi. “Sta male, abbiamo bisticciato” aveva detto. Ma la donna, trascinata dall’appartamento al secondo piano in via Bersaglieri fino nell’androne del palazzo, era già senza vita, uccisa dalle botte, come testimonia il suo corpo pieno di lividi apparso subito ai soccorritori. Poi, mentre i medici si davano da fare per tentare inutilmente di rianimarla, l’uomo si è dato alla fuga, sparendo nel nulla. Da allora è ricercato, potrebbe essere ancora a Parma, ospite di qualcuno che lo sta aiutando, o essersi già allontanato dal territorio.

Quello che è certo è che su di lui pendeva già da quasi tre mesi un ordine di espulsione. La figura di Jella non è infatti nuova alla cronaca nera. Negli archivi dei giornali locali il suo nome compare ripetutamente negli ultimi dieci anni di volta in volta legato ad aggressioni, lesioni, detenzione illecita di stupefacenti o rapine, come riporta la Gazzetta di Parma, che ne ripercorre il curriculum. Proprio una condanna per rapina lo aveva portato in carcere a Ferrara, e una volta uscito sarebbe dovuto rientrare in Tunisia, ma questo non è mai avvenuto. Secondo la legge infatti, il rimpatrio coatto è possibile con il via libera dell’ambasciata straniera di riferimento, che avviene con l’identificazione del soggetto. In questo caso però, la strada non è stata percorribile, così come quella di un Centro di identificazione ed espulsione. A Jella quindi è stato consegnato un ordine del questore di lasciare l’Italia entro sette giorni, che però non è stato eseguito. L’iter per farlo uscire dal suolo italiano sarebbe potuto ripartire ai primi di dicembre, quando l’uomo è stato denunciato a piede libero a Parma per spaccio, ricettazione e oltraggio. Ma anche in questo caso, la burocrazia avrebbe fornito un’altra via di fuga all’uomo, che non si è mai presentato all’Ufficio immigrazione. Pochi giorni dopo il 27enne, che da ottobre divideva con Alessia l’alloggio popolare assegnato alla donna dal Comune, in una delle ripetute e furibonde liti che i vicini di casa raccontano di avere sentito spesso tra le mura del palazzo, ha tolto la vita alla sua compagna.

Mentre le forze dell’ordine sono alla ricerca del colpevole in fuga, dal coordinamento dei centri antiviolenza dell’Emilia Romagna, che ricorda che Alessia è la sesta donna uccisa nella regione dall’inizio del 2015, arriva però anche l’invito a non fare di questo ultimo caso un’occasione di discriminazione: “La violenza sulle donne – si legge in una nota – è un fenomeno trasversale a età, classe sociale e appartenenza culturale. L’uomo violento non ha un identikit e non ha una nazionalità. È un problema che risiede nell’asimmetrica relazione tra uomini e donne, che vede quest’ultime in una posizione di inferiorità, posizione spesso riprodotta da stereotipi nella cultura e avallata da leggi e condizioni inique nella società”. Per questo, conclude il coordinamento, “I media parlano adesso di caccia all’uomo, ma per fermare la violenza sulle donne ci vuole soprattutto un lavoro di prevenzione. È importante l’affermarsi di una cultura del rispetto e della parità di genere che si traduca in provvedimenti politici a favore dei centri antiviolenza e delle associazioni che da anni lavorano in questa direzione”.

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