La Lega Nord contro Forza Italia, i fittiani contro i berlusconiani e i 5 Stelle contro la minoranza Pd. Scontro tra opposizioni in Aula, mentre l’assemblea ha approvato gli articoli finali del ddl Boschi. L’ultimo giorno di discussione prima del voto definitivo del 13 ottobre si è chiuso con i rimasugli di attacchi e accuse dai banchi di chi criticava il provvedimento ed è finito a farsi la guerra in casa. Il torpore di Palazzo Madama è stato disturbato dall’incontro avvenuto tra il capogruppo Paolo Romani (Fi) ed esponenti dell’esecutivo mentre stavano riformulando una modifica all’articolo 38 sul quorum per l’elezione dei giudici costituzionali. Un colloquio come ai vecchi tempi del patto del Nazareno o un semplice scambio di informazioni? “Ma quale inciucio – ha replicato in Aula Romani- ero lì per chiedere al governo cosa stesse accadendo e il governo me lo ha spiegato. Non confondiamo la cortesia con l’inciucio”.

Nei giorni scorsi le opposizioni si erano spaccate sulla scelta di 30 parlamentari Fi che hanno dato una mano al governo votando contro un emendamento della minoranza Pd sulla dichiarazione dello stato di guerra. A creare il caso questa volta è stato per primo il capogruppo leghista Roberto Calderoli: “Mi è spiaciuto veramente”, ha detto, “aver visto una forza di opposizione nella sala del governo. Quando si è all’opposizione non si va a mettersi d’accordo e a inciuciare con il governo”. Un concetto ribadito anche dalla senatrice dei Conservatori Riformisti, Cinzia Bonfrisco, che ha detto invece apertamente che il gruppo di opposizione di cui aveva parlato Calderoli, era Fi.

Oggi intanto è stato approvato (161 voti a favore, 72 contrari, 4 astenuti) uno dei passaggi più delicati del testo: l’articolo 39 che contiene la norma transitoria sull’elezione diretta dei futuri senatori. La maggioranza ha superato con il voto segreto due subemendamenti alla stessa parte di provvedimento, ma ha toccato la quota più bassa in uno scrutinio segreto con 142 voti contro 107 delle opposizioni e 5 astenuti (ieri, ad esempio, la soglia minima è stata a 143 voti). Proprio durante la discussione dell’articolo 39 è scoppiata l’ennesima discussione in Aula. La senatrice del Movimento 5 stelle Elena Fattori ha accusato la minoranza del Pd di essersi “venduta”. “Ecco qual è il piatto di lenticchie per cui si è venduta per votare la riforma”. Il presidente Pietro Grasso ha richiamato Fattori più volte mentre urla di protesta si sono levate dai banchi del Pd.

La norma transitoria era stata duramente contestata in mattinata da M5S, Sel, Fi e Lega Nord. “Schizofrenia legislativa” e “pasticciaccio”, lo hanno definito in Aula. Secondo Calderoli ci sarebbe stata una “contraddizione” tra due commi dello stesso articolo: il 6 e il 10. Nel primo, il 6, si dice che la legge che dovrà regolare l’elezione del nuovo Senato verrà approvata “entro 6 mesi dalla data di svolgimento delle elezioni della Camera”. Nel 10, invece, così com’è stato emendato dal governo, recependo l’accordo raggiunto tra maggioranza e minoranza Pd, si dice altro e cioè che la legge quadro elettorale entrerà in vigore entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore della riforma costituzionale. Da fonti del governo si apprende che in realtà non ci sarebbe alcuna contraddizione. Semplicemente, si è dovuta correggere la disposizione del comma 6 all’interno del comma 10 perché il 6 era oggetto di doppia conforme, cioè non si poteva più modificare perché già votato da Camera e Senato.

E a spiegare la situazione è intervenuto anche il presidente del Senato Pietro Grasso che, rispondendo a Calderoli, ha detto sostanzialmente due cose: prima di tutto, che la presidenza del Senato non ha usato “criteri così restrittivi” come quelli che aveva usato la presidenza della commissione Affari Costituzionali perché altrimenti lui non avrebbe potuto considerare “ammissibile l’emendamento della maggioranza a prima firma Finocchiaro”, cioè quello che ha recepito l’accordo di maggioranza sull’articolo 2. Secondo, si è dichiarato ammissibile l’emendamento del governo alla norma transitoria per vari motivi: frutto di un accordo di maggioranza interviene su un comma (il 10) “sul quale la Camera era già intervenuta” e che quindi era possibile modificare. E per Grasso quindi, sintetizzando al massimo la sua spiegazione, è possibile intervenire su un comma per interpretarne un altro non più modificabile. Le opposizioni, rappresentate da Loredana De Petris (Sel), Vito Crimi (M5S), Paolo Romani e Maurizio Gasparri (FI) hanno parlato di “pericoloso precedente”. Comunque, l’emendamento del governo, il 39.1000, si assicura nella maggioranza che si dice “tranquilla”, “ha già passato il vaglio delle più alte sfere, oltre a quello del Senato”.

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