Netflix e simili, banda larga permettendo e grazie al modico prezzo, renderanno accessibile ai più quel che oggi Sky produce o rigira ai suoi abbonati: una intera videoteca di serie, che sfidano per mezzi e capacità narrativa, il cinema industrialmente più impegnativo.

Così, saranno moltissimi a controllare lo sgocciolio degli episodi giorno per giorno, per più titoli quotidianamente. E come già ci capita, vuoi perché le vicende in campo sono molte, vuoi perché alcune sgocciolano insieme, molti passeranno le serate a fare gli spiedini: una sera un paio di episodi del Trono di Spade (l’epica del potere) seguiti da uno di Togetherness (la ricerca dell’affinità) tanto per arrivare al sonno, ma non prima di aver controllato lo scorrere della tv di flusso (quella con Salvini) per confermarci circa la permanenza del mondo esterno (ci sarebbe anche il rintocco di campane della chiesa, ma ormai non ci si fa caso).

La sera successiva ricetta opposta: dapprima, un paio di puntate di Trans-parent e poi lo scivolamento nel sonno col romanticismo in costume e la bigamia trans-temporale di Outlander (sempre dopo aver gettato una rassicurante occhiata al leader della Lega Nord). Il giorno dopo, l’episodio doppio tocca a Tyrant, dove si racconta del rapporto in crisi fra l’occidente e le tirannie arabe. Per imboccare la notte, a questo punto, ahimé, disponiamo solo di Wayward Pines che ci immerge negli incubi di un mondo che è e non è. Altro che conciliare il sonno, ma basta un’occhiata al leghista, che conclude il talk show, per capire che il mondo è sempre quello che è e piombare addormentati.

In breve, con le serie televisive lo show business americano sta affidando alla narrazione, piuttosto che alla informazione, il ruolo di chi spiega il mondo al mondo.
Nel Trono di spade si raccontano i meccanismi del potere, quelli del “chi si fa pecora, il lupo se lo mangia”, fra ululati e fendenti, nonché ripetuti accoppiamenti. Senonché, sarà un effetto del dominio americano nella economia della conoscenza, il più forte non è un Conan qualunque, ma un nano che sovrasta gli altri mentalmente. Come a dire che la gerarchia degli uomini e dei popoli dipende da quello che hai nella testa piuttosto che fra le mani o le gambe.

In Transparent un babbo, professore universitario a riposo, si risolve a valorizzare, finalmente, la propria femminilità, sciogliendo il codino e vestendo il gonnellone. Salvo il problema di rivelarlo ai figli: la minore, brillante e disoccupata come tante, ma rasserenata da due aitanti Jules e Jim; la maggiore, con figli e un rapporto ormai esausto che riprende a vibrare incontrando una antica esperienza lesbica, pure lei con figli, con la quale intreccia un rapporto ben nascosto ai rispettivi compagni, il maschio e la femmina. E qui, ci viene davvero il dubbio di dover ricorrere a un corso di aggiornamento. Non fosse per Salvini che, infatti, è sempre lì a convincerci che, almeno finché siamo in Italia, ne sappiamo abbastanza.

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