Il Tribunale del Lavoro di Nola (Napoli) ha rigettato il ricorso di cinque ex operai dello stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco e del reparto logistico nolano, ritenendo che la manifestazione messa in atto lo scorso giugno dagli allora dipendenti del Lingotto, che inscenarono il suicidio di Sergio Marchionne, ha leso “l’immagine della società e del suo amministratore delegato”. La sentenza è destinata a fare storia e cambiare radicalmente le modalità di protesta davanti alle fabbriche italiane, a partire da quelle di Fca, ma che non arresta la lotta dei licenziati del Lingotto, i quali annunciano nuove proteste, a cominciare da venerdì con un’assemblea a Villa Medusa a Bagnoli, e poi a Roma, in occasione dell’assemblea per la costituzione della “coalizione sociale” lanciata dal segretario generale della Fiom, Maurizio Landini.

“La sentenza – hanno commentato i licenziati – cerca di fermare qualsiasi opposizione sindacale e di lotta all’interno ed all’esterno dello stabilimento di Pomigliano. Non possiamo certo protestare portando rose rosse a Marchionne. In questo modo si cerca di mettere fine alle manifestazioni, e viste le ultime notizie sulle modalità di sciopero in Fiat, l’azienda cerca anche di imporre dove, come e quando fare iniziative all’interno ed all’esterno delle fabbriche, e chi si oppone viene sbattuto fuori come accaduto a noi”. La vicenda ha inizio esattamente un anno fa, quando i cinque operai, insieme ad altri manifestanti, inscenarono il finto suicidio dell’amministratore delegato davanti ai cancelli del reparto logistico di Nola (dove quasi la totalità dei circa 300 dipendenti era in cassa integrazione), nel giorno dei funerali di Maria Baratto, 47enne cassaintegrata del polo, che si era tolta la vita qualche giorno prima. Una settimana dopo i manifestanti inscenarono anche i funerali dell’ad Fca, questa volta ai cancelli dello stabilimento di Pomigliano. Le manifestazioni furono ritenute lesive d’immagine dall’azienda, che quindi dispose i cinque licenziamenti.

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