Sembra un film di fantascienza, ma non lo è: leggere la mente post-mortem è possibile, o almeno è possibile scoprire cosa un organismo avesse imparato da vivo semplicemente analizzando il suo cervello. La notizia arriva dagli scienziati del Cold Spring Harbor Laboratory (CSHL) nello stato di New York, i quali hanno scoperto che tagliando a fettine molto sottili un cervello di un ratto, e misurando le specifiche proprietà di alcuni neuroni, si può risalire a come il roditore fosse stato addestrato a rispondere ad alcuni suoni.

Per ottenere questo risultato, pubblicato su Nature, gli scienziati sono partiti dallo studio a livello neuronale dell’apprendimento di una regola sonora. Ad alcuni ratti era stato insegnato che al variare della tonalità del suono che gli veniva fatto sentire – da più grave, come quello di una tuba, a più acuto, come quello di un flauto – dovevano cercare il loro premio verso sinistra, mentre ad altri era stato insegnato ad andare verso destra. I ricercatori sapevano da uno studio precedente che l’attività in una specifica regione del cervello, la corteccia uditiva, era cruciale per poter portare a termine il compito, e in particolare, per farlo, la popolazione di neuroni di quella zona cerebrale doveva trasmettere l’informazione ad un’altra porzione del cervello, chiamata corpo striato.

“Studiando l’attività cerebrale dei topi vivi abbiamo scoperto che lo striato si attivava con un gradiente diverso a seconda che l’animale fosse stato addestrato ad andare a destra o a sinistra per cercare la sua ricompensa”, ha spiegato Anthony Zador, a capo del team di ricerca. Da qui l’idea: cercare di capire se fosse possibile riconoscere post-mortem se il topo fosse stato addestrato in un modo o nell’altro. “Siamo rimasti molto stupiti quando abbiamo capito di poterlo fare”, ha continuato lo scienziato. “In tutti i casi siamo riusciti a risalire correttamente all’informazione. In altre parole è come se avessimo decifrato un pezzettino del codice neurale col quale il cervello di questi ratti codificava il dato per archiviarlo in memoria: abbiamo imparato a leggerne la mente”. Secondo gli scienziati la stessa tecnica potrebbe essere applicata ad altre regioni del cervello e per decifrare altri sensi. “Non vediamo l’ora di tentare con forme più complesse di apprendimento – ha concluso il ricercatore – o con altri sistemi sensoriali, come quello alla base della vista”.

L’abstract su Nature

di Laura Berardi

Dal Fatto Quotidiano del 9 marzo 2015

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