Nepotismo, baronati, e concorsi truccati sono il passato e il presente dell’università italiana. Un mondo incrostato di clientele, favoritismi e raccomandazioni contro cui l’associazione antimafia Libera e l’Autorità nazionale anticorruzione presieduta da Raffaele Cantone condurranno insieme una battaglia. Il tandem è stato sancito in occasione di Contromafie, la 4 giorni organizzata a Roma dall’associazione Libera e conclusasi lo scorso 26 ottobre. “Siamo riusciti a fare approvare una norma che consente all’Autorità nazionale anticorruzione di essere destinataria della segnalazione degli illeciti – ha detto Cantone rivolgendosi agli attivisti di Libera – il whistleblowing è un istituto che negli Stati Uniti ha funzionato benissimo e che consente a tutti i cittadini di segnalare gli illeciti senza essere esposti a ritorsioni. Possiamo lavorarci insieme”.

Il 22 ottobre l’Autorità anticorruzione ha inaugurato un indirizzo di posta elettronica “protetto” attraverso il quale i pubblici dipendenti possono segnalare gli illeciti di cui sono testimoni all’interno delle Pubbliche amministrazioni senza esporsi pubblicamente (whistleblowing@anticorruzione.it)  . E su questo indirizzo potrebbero presto essere raccolte anche le segnalazioni provenienti dalle Università italiane. Con questo obiettivo l’associazione Libera ha lanciato la nuova campagna di Riparte il Futuro “Trasparenza nelle Università“, una petizione-appello perché i Rettori favoriscano le denunce protette e creino un contatto diretto con l’Autorità nazionale anticorruzione (Anac) per la registrazione delle segnalazioni. “Quando qualcuno nel mondo dell’istruzione approfitta del suo ruolo per guadagnare un vantaggio personale distrugge molto più di quello che pensa”, spiega Enrico Fontana, coordinatore nazionale di Libera. “Oggi siamo tutti chiamati a rompere il muro del silenzio, della complicità e dell’omertà: non c’è più tempo da perdere”.

I dati sulla situazione italiana parlano chiaro. Anche Transparency International, nel suo ultimo report sull’educazione scolastica, riporta il caso italiano come esempio di radicato familismo all’interno degli atenei. Una ricerca italiana focalizzata sul decennio 2000-2010 ha scoperto, su 57 Università, 18 casi di assunzione o promozione all’interno degli Atenei di parenti di un Rettore o di un preside di Facoltà. Dati sottostimati, secondo i ricercatori,  perché non tengono conto dei molti casi in cui i soggetti riescono a fare assumere coniugi e parenti prima ancora di assumere le cariche più alte dell’Ateneo. E la situazione appare peggiore se si guarda al reticolo di parentele più ampio. Secondo un calcolo di Repubblica nell’ottobre 2008 nella facoltà di Medicina di Palermo c’erano 58 professori con almeno un parente stretto nella stessa facoltà; 21 nella Facoltà di Giurisprudenza, 23 nella ad Agraria e 18 a Ingegneria.

Eppure secondo un’altra ricerca, i “figli di” non possono essere criminalizzati tout cour, né rappresentano il solo problema delle Università. A livello accademico chi non ha alcun legame di parentela all’interno degli atenei presenta performance di ricerca mediamente peggiori dei figli. E questo perché ad allargare la pletora degli immeritevoli ci sono spesso anche i “fedelissimi“, i “raccomandati” e i figli degli amici, come dimostrano anche le numerose inchieste sui concorsi truccati verificatesi negli ultimi anni.

Neppure la riforma Gelmini, che doveva garantire maggior trasparenza, è riuscita a mettere un freno agli scandali. Secondo l’analisi de Lavoce.it sui primi concorsi condotti secondo le nuove regole, ancora oggi lavorare nella stessa Università in cui ha lavorato o lavora uno dei commissari aumenta la probabilità di ottenere l’abilitazione. Le “conoscenze” aumentano, in media, la probabilità di ottenere l’abilitazione di circa 9 punti percentuali. E questo diventa ancora più vero se i candidati vengono valutati da commissioni con produttività scientifica inferiore alla media.

“Gli atenei possono fare molto – conclude Fontana – chiediamo a tutti i Rettori dei 66 atenei pubblici italiani di impegnarsi a favore del whistleblowing. Le università devono concedere una protezione efficace a chi denuncia episodi d’illegalità che avvengono al loro interno, incoraggiando la segnalazione di pratiche illegali e predisponendo massime tutele per chi ha il coraggio di parlare”. La campagna, promossa da Libera e Gruppo Abele, è sostenuta anche da Cgil, Cittadinanzattiva, LINK Coordinamento universitario, Unione degli Studenti, Rete della Conoscenza, Forum Nazionale Giovani, Centro Iniziativa Democratica Insegnanti, Movimento Studenti di Azione Cattolica e Federazione Universitaria Cattolica Italiana.

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