Come ogni vicenda che minaccia di increspare lo stagno immobile di Genova, anche il Blue Print firmato da Renzo Piano ha messo in azione la macchina della resistenza, più o meno attiva, al rinnovamento di quella che fu un tempo “la Superba”. L’Archistar che tutto il mondo corteggia – genovese di Pegli, 77 anni – ha ridisegnato l’intero fronte costiero che dalla Stazione Marittima, attraverso il polo museale del Galata, chiude a levante la linea di costa con l’area della Fiera. L’intervento urbanistico, sostenuto da Regione Liguria, Comune di Genova e Autorità portuale, si annuncia molto incisivo. Impone tra l’altro (e qui si manifesta il primo incaglio) il trasferimento del porticciolo turistico “Duca degli Abruzzi” dallo specchio acqueo davanti alla sede dello Yacht Club Italiano alla Marina 2 della Fiera del Mare. Questo per consentire alle Riparazioni navali, vero fulcro strategico dell’intervento progettato da Piano, di trovare respiro nel tombamento (ossia nel riempimento) del Porticciolo.

Su quel tratto di mare oggi hanno casa lo Yacht Club Italiano, i cugini della Lega Navale, due società di canottaggio (Elpis e Rowing Club) e l’UdP, l’Unione dilettanti pesca. Tutti uniti, per una volta, nell’opporsi all’intervento ideato da Piano. Con un ricorso alla Sovraintendenza per fare dichiarare il porticciolo area di valore storico e impedirne la scomparsa. Si profila quindi un durissimo muro contro muro. Da una parte Carlo Croce, figlio del mitico Beppe Croce, presidente della Federvela e dello Yacht Cub Italiano, anno di fondazione 1879, il più antico club velico d’Italia. Capofila della resistenza “acquatica”. Dall’altra lo stato maggiore delle istituzioni locali: il presidente (uscente) della regione, Claudio Burlando, il sindaco di Genova, Marco Doria e il presidente dell’Autorità Portuale, Luigi Merlo. Superate antiche rivalità e nuove diffidenze, Burlando, Doria e Merlo si sono coalizzati all’ombra del prestigioso nome di Piano. Indifferenti ai mugugni che si levano da alcuni settori della politica, come il vicesindaco Stefano Bernini, che sognava di risolvere il problema Fiera (130mila metri quadrati di aree vendute al Comune per salvare il bilancio dell’ente) con la vecchia ricetta dei centri commerciali. O il presidente della Sampdoria, Massimo Ferrero, deluso perché Piano ha omesso di inserire nei suoi lucidi lo stadio sul mare vagheggiato già dal precedente proprietario del club, Edoardo Garrone. E il numero uno del Coni ligure, Vittorio Ottonello, indignato per aver visto sfumare l’attesissimo nuovo palazzetto dello sport costruito a corredo dello stadio. “Ci vogliono scippare il Palasport per il quale propri il Coni aveva speso fior di quattrini negli anni Cinquanta”, accusa. E manda a dire a Burlando e Doria: “Nel mio ruolo di rappresentante eletto dello sport ligure dico no a qualunque ipotesi di trasferimento del Palasport della Fiera e chiedo che i rappresentanti del mondo sportivo vengano doverosamente consultati prima di intraprendere qualunque ipotesi. Almeno questo ce lo dovete concedere”.

Esprime perplessità sulla effettiva fattibilità del progetto, che pure apprezza, il senatore ligure di Scelta Civica Maurizio Rossi, che scrive: “Dietro il Blue Print si incrociano molte questioni delle quali bisogna tenere conto: la situazione fallimentare della Fiera di Genova, la cessione di parte delle aree alla Spim (la società immobiliare pubblica che le ha prese in carico, ndr), la privatizzazione dell’Ente bacini, il ribaltamento a mare di Fincantieri, la nuova diga foranea, l’ampliamento delle Riparazioni navali, la conferma o l’abbandono del progetto del tunnel subportuale, la viabilità urbana ed extra urbana, il futuro anche turistico della città”. Rossi ritiene non sia stata chiarita la questione dei finanziamenti, stimati in circa 140 milioni di euro in 15 anni. “Secondo alcune sommarie informazioni che ho ricevuto, a oggi sembrerebbe che a disposizione ci siano solo 20-25 milioni dell’Autorità portuale, otto dei quali potrebbero essere destinati per l’acquisto del palazzo ex Nira dalla Fiera. Mentre non è previsto quanto costi l’abbattimento con il rispetto delle normative sull’amianto. Pensiamo che non sia previsto il costo per la realizzazione di un superbacino e non possiamo dimenticarci i costi per la tombatura dell’area che oggi ospita lo Yacht Club e altre attività che dovrebbero essere spostate in Marina 2. La tombatura peraltro non passò il Via (valutazione di impatto ambientale, ndr) già in passato e quindi si dovrebbe capire come potrebbe oggi avere il via libera”.

Se la manovra dei resistenti andasse a segno, sarebbe la fine immediata dell’intera operazione urbanistica. Sono proprio le Riparazioni Navali – che danno lavoro a tremila addetti – il perno su quale innestare la dinamo della ripresa economica del settore. L’arrivo in banchina a Voltri del relitto della Costa Concordia ha convinto gli esperti che anche le demolizioni, abbandonate da tempo, possono tornare a essere un business lucroso (anche in considerazione delle nuove normative internazionali a tutela dell’ambiente) purché Genova sappia dotarsi di spazi adeguati attrezzandoli con le infrastrutture tecnologiche più avanzate. Il know how delle maestranze è collaudatissimo e dunque ecco la scelta di rubare spazio al mare (restituendolo peraltro nella zona della Fiera) per ricavare il nuovo piazzale a servizio delle riparazioni e ampliare il quarto bacino di carenaggio, dove sarà completata la demolizione della Concordia, rendendolo capace di accogliere le grandi navi. La storica sede dello Yacht club sarebbe salvata e trasformata in un museo. La nuova sede troverebbe spazio presso la Nuova Darsena e così gli accosti per le imbarcazioni da diporto. Come andrà a finire? Il presidente dell’Autorità portuale Merlo è stato tranchant. Le concessioni allo Yacht club e alle altre società sportive scadranno il 31 dicembre 2015. Ricorso o no, non saranno rinnovate. Regolatevi.

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