“Riforme inutili”. Piercamillo Davigo, già pm del pool Mani Pulite, ora giudice di Cassazione, lo ripete di continuo (l’ultima volta domenica a Cernobbio) dopo aver letto le linee guida di riforma della giustizia. In questa intervista al Fatto, spiega il perché.

Partiamo dalle ferie dei magistrati: il governo le vuole ridurre di due settimane perché siete i soli dipendenti pubblici che vanno in vacanza 45 giorni e dovete aumentare la produttività.
Intanto non è vero: abbiamo le stesse ferie di un maresciallo anziano dei Carabinieri. E poi non ha senso paragonare i magistrati ai dirigenti della PA. Noi, in vacanza, dobbiamo scrivere le sentenze e i provvedimenti. Le nostre ferie non sospendono mica i termini di deposito degli atti: se ritardiamo, finiamo sotto procedimento disciplinare. Poi gli statali hanno il sabato non lavorativo e gli straordinari, noi no. E non solo: in Procura, quando il pm ha un turno, lavora 36 ore di fila, tanto quanto lo statale tutta la settimana. Ma, finite le 36 ore, mica se ne sta a casa. Misurare a tempo l’attività del magistrato non sta né in cielo né in terra.

Però gli uffici giudiziari chiudono dal 31 luglio al 15 settembre.
Altra balla. Non chiudono mai. Quella è la sospensione feriale dei termini, che ora viene confusa con le ferie dei magistrati. Gli ospedali non ce l’hanno mica, eppure i medici in ferie ci vanno lo stesso. La sospensione dei termini serve per le vacanze degli avvocati, che altrimenti non si fermerebbero mai, se dovessero depositare gli appelli o le memorie difensive tutto l’anno. Per noi invece i termini decorrono anche d’estate, perché facciamo i turni. Comunque questa storia di aumentare la nostra produttività per legge è insensata a prescindere: anche se fosse possibile, non risolverebbe nulla; e poi i magistrati italiani sono i più produttivi di tutti i 48 stati membri del Consiglio d’Europa.

E questo chi lo dice?
Il rapporto CEPEJ, Commission européenne pour l’efficacité de la Justice, organo del Consiglio d’Europa. L’Italia ha 14,8 giudici ogni 100 mila abitanti, tanti quanti la Francia, contro gli 11,6 del Regno Unito e i 30,7 della Germania. Nel civile, in Germania ogni giudice riceve 54,86 nuove cause e ne definisce in primo grado 78,86; in Francia ne riceve 224,15 e ne definisce 215,67; in Italia ne riceve 438,06 e ne definisce 411,33. Nel penale, un giudice tedesco riceve 42,11 processi e ne chiude 42,91, uno francese ne riceve 80,92 e ne chiude 87,06, un italiano ne riceve 190,71 e ne chiude 181,09. Noi italiani lavoriamo il doppio dei colleghi francesi e il quadruplo dei tedeschi.

Eppure i fascicoli arretrati si accumulano a milioni.
Ma perché facciamo troppi processi, non perché lavoriamo poco! Negli ultimi 30-40 anni i magistrati sono quasi raddoppiati, da 5 a 9 mila, e così le risorse e la produttività. Intanto il contenzioso è triplicato. Mica per colpa nostra: perché da noi tutto finisce davanti al giudice, anche quello che non dovrebbe. L’anomalia non sono i magistrati, ma la litigiosità fuori misura e controllo. I politici hanno creato un sistema normativo che tutela più chi viola la legge che le vittime. Ma nessuno ne parla, né pensa a riforme che invertano la tendenza.

Il decreto del governo accelera e deflaziona il processo civile: primo grado in un anno e arretrati dimezzati in tre anni.
E perché non in sei mesi? Se bastasse scrivere quanto deve durare un processo per farlo durare meno, ci avrebbe già pensato qualcun altro. Vengono in mente i Promessi Sposi, quando il gran cancelliere Antonio Ferrer ‘vide, e chi non l’avrebbe veduto? che l’essere il pane a un prezzo giusto è per sé una cosa molto desiderabile; e pensò, e qui fu lo sbaglio, che un suo ordine potesse bastare a produrla… Fece come una donna stata giovine, che pensasse di ringiovinire, alterando la sua fede di battesimo’. Domanda: e se, approvato il decreto sulle cause di primo grado in un anno, le cause durano più di un anno, che si fa? Siamo seri: oggi il debitore non paga il creditore perché gli conviene andare in causa e resistere in giudizio, così alla fine, se mai si dimostrerà che quei soldi li doveva, li pagherà dopo anni, e a un interesse molto minore di quelli che avrebbe versato alla banca se avesse chiesto un prestito per pagare subito.

Il decreto del governo vuole incoraggiare le parti ad affidarsi ad arbitri esterni, a un accordo fra i rispettivi avvocati, per non intasare i tribunali e fare prima.
Belle grida manzoniane che non tengono conto della realtà. Chi ha torto lo sa benissimo di avere torto: resiste in giudizio perché gli conviene. Se non voleva pagare prima, non pagherà neanche adesso. Perché mai dovrebbe arrendersi e pagare subito, quando può farlo tra molti anni, sempre ché il creditore riesca a dimostrare il proprio buon diritto? Idem l’imputato colpevole nel penale: lo sa benissimo di essere colpevole, ma invece di patteggiare la pena, si fa tutti e tre i gradi di giudizio, così magari arraffa la prescrizione.

Che cosa suggerisce, lei, per ridurre la durata dei processi?
Bisogna ridurne il numero, cambiando le norme per rendere non convenienti i giudizi e i ricorsi a chi ha torto o è colpevole. Cioè tutelare chi subisce un danno o un reato più di chi lo commette. E incentivare i cittadini a comportarsi bene, mentre in Italia il sistema incoraggia a comportarsi male. Ma nessuno ne parla. Anche perché dimezzare le cause e portarle al livello della Francia significherebbe dimezzare il reddito degli avvocati, che sono 250 mila e aumentano di 15 mila (finché non si metterà il numero chiuso nelle facoltà di Giurisprudenza). Dubito che una classe politica che non riesce a resistere alla debolissima lobby dei tassisti voglia davvero sfidare la potentissima lobby degli avvocati.

E nel penale?
Stesso discorso. L’incentivo a farsi processare e a ricorrere in tutti i gradi di giudizio si chiama prescrizione. Perché, secondo lei, negli Usa il 90% degli imputati si dichiara colpevole e patteggia? Perché, se un imputato si dichiara innocente, si fa processare col rito ordinario e poi si scopre che era colpevole, lo rovinano con pene così alte che agli altri passa la voglia di mentire. In Italia si può patteggiare senza dichiararsi colpevoli, e poi addirittura ricorrere in Cassazione contro il patteggiamento concordato col pm; intanto la prescrizione continua a correre e può scattare un minuto prima della sentenza definitiva. Il 15% dei ricorsi in Cassazione sono contro i patteggiamenti: ma si può andare avanti così?

Uno dei ddl del governo regala 2 anni ai giudici d’appello dopo la condanna di primo grado e 1 anno in Cassazione prima che scatti la prescrizione. Se però in appello la condanna viene annullata, il bonus è revocato.
Guardi, è molto semplice: la prescrizione deve smettere di decorrere dopo il rinvio a giudizio. Com’è già previsto nel processo civile (dove si ferma appena uno ti fa causa). È l’unico sistema efficace per scoraggiare i ricorsi dilatori e pretestuosi. Fra l’altro, solo la nostra Costituzione stabilisce il principio di non colpevolezza fino a sentenza definitiva. La Convenzione europea per i Diritti dell’uomo dice che uno è presunto innocente ‘fino a sentenza di condanna’: di primo, non di terzo grado. Da noi solo un fesso non impugna la prima condanna: se non lo fa, la sentenza diventa definitiva e, se è fuori, può finire in carcere; se invece è già in carcere, può uscire per decorrenza dei termini.

Un altro ddl del governo stringe le maglie della responsabilità civile dei magistrati: dicono che la legge attuale, la Vassalli del 1988, ha tradito il referendum di Craxi e Pannella.
Senta, non parlo per me perché, stando in Cassazione, sono il giudice di ultima istanza, dunque per la vulgata corrente ho ragione per definizione… Ma ragioniamo. Chi vuole la responsabilità diretta, consentendo alla parte o all’imputato di citare il suo giudice, non sa quel che dice: basterebbe fare causa e il giudice, anche se non ha fatto nulla di scorretto, per obbligarlo ad astenersi dal processo. E così a catena, col risultato che non si farebbe più nessun processo. Aggiungo che, nel sistema anglosassone, molto popolare in Italia soprattutto fra chi non lo conosce, i giudici non rispondono, punto. Salvo, si capisce, che commettano delitti.

Renzi dice: “Chi sbaglia paga”.
Bravo. Ma se uno fa l’autista in un ufficio pubblico, chi la paga l’assicurazione della sua auto? Lo Stato, mica lui. Noi ce la paghiamo da soli. Ma se venisse ampliata l’area della nostra responsabilità civile, costringendoci ad assicurarci per somme molto elevate, potremmo fare un’azione sindacale per farcele rimborsare dallo Stato: mica facciamo i giudici per divertirci, siamo al servizio dello Stato. Ogni paragone con altre professioni è improprio, perché noi, qualunque decisione prendiamo, scontentiamo sempre qualcuno: nel civile, una delle due parti; nel penale, l’imputato o la vittima. La nostra funzione è conflittuale per definizione, tant’è che mi meravigliano le statistiche che ci danno un consenso del 40%: dovremmo avere lo 0%. Se uno perde il processo, dà la colpa al giudice. Ma chi lo vince, non pensa che sia merito del giudice: pensa che gli abbia dato ragione perché lui l’aveva.

Le era mai capitato di un premier che, alle critiche dell’Anm, risponde: “Brrr che paura”?
Mah, neanche l’avessero minacciato di chissà quali conseguenze negative! L’Anm ha criticato il merito di alcune proposte del governo, tutto qui. E fra l’altro, pur solidale al 100 per 100 con l’Anm, io dissento quando chiede più risorse: fermo restando che i soldi non ci sono, più risorse significano più contenzioso. L’errore sta nel considerare la Giustizia un costo dello Stato: invece è una fonte di entrate. Fra multe, ammende e beni confiscati, ce ne sarebbe abbastanza per mantenere il costo del servizio giustizia. La Cassazione, per ogni ricorso inammissibile, infligge una sanzione di 1.000 euro circa: 250 mila euro al giorno solo per la VII sezione. Se lo Stato facesse qualcosa per incassarli, incamererebbe tanti di quei soldi che basterebbero a mantenere tutta la Cassazione. Invece incassa meno del 5%. Per non parlare degli enormi beni confiscati a corrotti, evasori e mafiosi: possibile che non riesca a farli fruttare? A costo di venderli, anziché lasciarli ai comuni che non hanno soldi per la manutenzione e li mandano in malora.

Ora al Csm arriva, come vicepresidente, il sottosegretario Legnini. Per la prima volta un membro del governo passa alla guida del vostro autogoverno.
Non voglio polemizzare. Osservo solo che il vicepresidente deve eleggerlo il Plenum del Csm.

È giusto anticipare da 75 a 70 anni la vostra età pensionabile?
Mah, lo slogan ‘largo ai giovani’ non ha alcun senso. Sia perché si scoprono centinaia di posti direttivi, dove gli attuali 72enni verranno sostituiti da 68enni. Sia perché i giovani non ci sono: ora in organico mancano 1300 magistrati. Sarebbe meglio prima bandire i concorsi per riempire i posti vuoti (tra bando, concorso, esami, tirocinio ed entrata in funzione passano 5 anni) e poi pensare all’età pensionabile. Che non è certo urgente. Il che rende incomprensibile il decreto legge.

Quali sono le prime due riforme che farebbe lei, se potesse?
Invece di occuparmi di cose inutili, abolirei il divieto di reformatio in peius in appello. Se ti condannano e ricorri, devi sapere che puoi essere condannato a una pena più alta. Come in Francia, dove solo il 40% delle condanne a pena detentiva da eseguire vengono appellate. In Italia non si può. Il che incentiva tutti a provarci: mal che vada, non rischiano niente, anzi non vanno in carcere a scontare la pena e magari si prendono pure la prescrizione. Perché non dovrebbero tentare? E poi abolirei il ricorso in Cassazione per manifesta illogicità della motivazione: basta e avanza quello per violazione di legge. In Gran Bretagna c’è un filtro rigoroso, tant’è che molti fascicoli di appello portano la stampigliatura loss of time, perdita di tempo. Negli Usa, per impugnare, devono esser d’accordo 4 giudici su 9 della Corte Suprema, che infatti esamina meno di 100 ricorsi all’anno. La nostra Cassazione, 100 mila.

E nel civile?
Imporrei un tasso di interesse giudiziale molto più salato di quello bancario, per scoraggiare i debitori dal resistere in giudizio. Pensi che nelle Commissioni tributarie che esaminano i ricorsi dei contribuenti è previsto un contributo unificato in base al valore della causa. Ma molti non pagano e lo Stato avvia complicate procedure di recupero: basterebbe imporre che il contributo sia versato subito, sennò il ricorso è inammissibile. Come diceva Adam Smith, ‘non è dalla bontà del fornaio, del birraio, del macellaio che dobbiamo attenderci il nostro pranzo, ma dalla loro considerazione per i propri interessi’.

da Il Fatto Quotidiano del 12 settembre 2014

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