I protagonisti del crac ammetteranno che la Parmalat aveva incominciato ad andare male nell’86, dopo l’incidente nucleare di Chernobyl che aveva messo in ginocchio il settore lattiero-caseario. E che fino all’8 dicembre 2003, Calisto Tanzi e il suo contabile Fausto Tonna, avevano truccato i bilanci, per farsi dare credito dalle banche e poi vendere sul mercato obbligazioni per tappare i buchi. Il giorno dell’Immacolata, cadde il castello di carte. Parmalat non aveva i soldi neppure per rimborsare un’obbligazione in scadenza da 150 milioni. Ma di titoli di debito dell’azienda di Tanzi ce n’erano in giro per una dozzina di miliardi di euro, sette dei quali in mano a 30 mila risparmiatori che alla fine hanno recuperato, in azioni della nuova Parmalat, poco meno del 50 per cento dei loro soldi.

Il 19 dicembre un fax della Bank of America di New York spiega che il deposito di denaro liquido pari 3,95 miliardi di euro, vantato da Parmalat nei suoi bilanci, non esiste. L’estratto conto nelle carte contabili del gruppo di Collecchio, pochi chilometri da Parma, è un falso fatto con i trasferelli dalla banda di ragionieri che, apparentemente, ha preso per il naso per 15 anni banche, autorità di controllo e politici. È la prima lezione del caso Parmalat: maghi della finanza si rivelano mediocri imbroglioni, e un attento sistema di potere li ha lasciati fare. Il giorno di Santo Stefano Tanzi viene arrestato, e con lui Tonna, gli altri manager Parmalat Luciano Del Soldato, Gianfranco Bocchi e Claudio Pessina , e il presidente della società di revisione Grant Thornton, Lorenzo Penca. Il crac da oltre 14 miliardi di euro supera quello americano della Enron (11 miliardi nel 2001). Ieri Tanzi e la Parmalat, oggi Ligresti e la Fonsai. Sembra che nulla sia cambiato. Eppure il crac di Collecchio aveva offerto preziose lezioni sul capitalismo di rapina.

L’imprenditore d’area

I politici italiani non hanno mai smesso di esibire gli imprenditori di riferimento. Tanzi a metà anni 80 viene spinto dallo strapotente Ciriaco De Mita a svenarsi per Odeon Tv: Bettino Craxi ha Silvio Berlusconi, il segretario Dc vuole il suo network. Tanzi viene dissuaso dal vendere la già zoppicante Parmalat ai francesi della Danone che gli offrono 700 miliardi di lire: de- ve continuare a mungere le vacche per continuare a farsi mungere dalla Dc, che in cambio lo raccomanda ai banchieri amici. La Parmalat, che è sem- pre in perdita ma non lo dice, riesce a quotarsi in Borsa nel 1990, per mungere i piccoli risparmiatori.

L’arte di non vedere

Parmalat dieci anni fa, come Monte dei Paschi nel 2007, come Fonsai da sempre. Le guardie del mercato (Consob per le società quotate, Banca d’Italia per le banche, Isvap per le assicurazioni) sembrano non accorgersi di nulla. Spiega Tonna ai magistrati: “I bilanci da noi presentati alle banche, pur contenendo dati non veritieri, non erano sufficientemente idonei a ingannare una persona esperta”. Già nel 1997 il ragioniere Mario Vella, incaricato di una perizia per conto della procura di Parma, scrive: “Si può certamente affermare che senza l’appoggio del sistema (bancario) e la sua disponibilità a rinnovare il credito concesso, l’impresa non riuscirebbe a sussistere”. Vella sollecita i magistrati a controllare i bilanci di tutte le società del gruppo. Il gip Adriano Padula archivia. Nel libro “Mani sporche”, Gianni Barbacetto, Peter Gomez e Marco Travaglio racconteranno poi che “Padula ha viaggiato due volte con Parmatour (la società turistica di Tanzi) senza pagare il conto: il Csm nel 2006 lo punirà` trasferendolo in un altro ufficio e levandogli sei mesi di anzianità”.

Le banche, alle volte, sono generose

Tanzi e Tonna ci hanno insegnato che se chiedi alla banca 10 mila euro per la tua aziendina difficilmente li avrai, se invece sei pronto a indebitarti per 10 miliardi che sicuramente non potrai restituire ecco il tappeto rosso. Detta Tonna a verbale: “Le banche proponevano molto spesso alla Parmalat le emissioni di bond sulle quali percepivano laute commissioni, con conseguenti bonus a fine anno ai funzionari che partecipavano all’operazione”. Si mettono in coda: JP Morgan Chase Manhattan, Bnp Paribas, Deutsche Bank, Citigroup, Morgan Stanley, Merrill Lynch… Quando il commissario della Parmalat, Enrico Bondi, ha minacciato le banche di azioni legali, quasi tutte hanno firmato una transazione, restituendo un po’ dei loro guadagni e finanziando per questa via (con oltre 2 miliardi di euro) il salvataggi dell’azienda e dei suoi 17 mila posti di lavoro.

Il banchiere di sistema

Cesare Geronzi sostiene che Tanzi dice solo falsità. Però l’ex presidente di Capitalia si è beccato cinque anni per bancarotta in appello lo scorso 7 giugno con l’accusa di aver costretto Parmalat a comprare dall’imprenditore Giuseppe Ciarrapico (in difficoltà) le acque minerali Ciappazzi. Povero Tanzi, all’inizio era lui che comandava il gioco: “Il rapporto con Geronzi si è consolidato quando mi ha chiesto di intercedere presso la Dc per far nominare Pellegrino Capaldo presidente della Cassa di Risparmio di Roma, cosa che io riuscii a fare convincendo De Mita, Goria e Andreotti. Analoga operazione fu da me condotta prima della creazione della Banca di Roma quando Geronzi mi chiese di chiedere alla Dc di non interferire nell’operazione di fusione. Io, in questa circostanza, parlai solo con De Mita e Goria chiedendo di non ostacolare l’operazione… In cambio, in tutti questi anni, Banca di Roma (Capitalia) ha sempre aiutato il nostro gruppo”. Una volta che il cappio dei debiti è stretto, Tanzi deve obbedire. Oltre alla Ciappazzi compra la Eurolat dalla Cirio di Sergio Cragnotti. Tonna ricorda: “Ci dissero che, se non avessimo fatto l’operazione, i rapporti tra Parmalat e Banca di Roma si sarebbero compromessi”.

I soldi ai politici 

Tra i pochi imprenditori che hanno attraversato indenni il ciclone Mani Pulite, Tanzi sembra diventare il nuovo bancomat dei politici negli anni 90. I magistrati che lo hanno condannato a 18 anni per bancarotta (in appello) e a 10 anni a Milano per aggiotaggio e altri reati borsistici hanno accertato che a partire dal 1993 Parmalat ha speso almeno 12 milioni di euro per finanziare illecitamente “membri del Parlamento nazionale, consiglieri regionali, provinciali e comunali, presidenti, segretari e direttori politici e amministrativi dei partiti”. Tanzi al momento dell’arresto snocciola decine di nomi, poi fa marcia indietro. Il pm di Parma Vito Zincani interroga tutti e così conclude: “A un primo gruppo appartengono coloro che hanno negato di aver ricevuto contributi (Stefani, Speroni, D’Alema, Dini, Fini, De Mita, Tabacci, Sanza, Scalfaro, Bersani, Lusetti, Gargani). A un secondo gruppo coloro che hanno ammesso di aver ricevuto finanziamenti nei limiti previsti dalla legge (Casini, Libe, Prodi, Buttiglione, Ubaldi, Castagnetti, Duce, Segni, Sanese). A un terzo gruppo coloro che hanno intrattenuto rapporti con Tanzi in epoche passate ben oltre il limite di prescrizione dei reati eventualmente commessi (Forlani, Colombo, Pomicino, Fabbri, Signorile, Mannino, Fracanzani). Nessuno, ovviamente, ha ammesso di aver ricevuto illeciti finanziamenti”.

Latte e circenses

Il gioiellino di casa era il Parma calcio. Arrivano a giocare per Tanzi alcuni tra i migliori campioni dell’epoca. Ma il gioiellino costa, e allora si trova il modo di farlo pagare alla Parmalat. Da pochi giorni sono indagati dalla Procura di Parma, per bancarotta fraudolenta, 11 ex campioni gialloblu: da Hernan Crespo a Sebastian Veron a Dino Baggio. Con loro sono accusati 15 ex dirigenti. Per non far pesare i loro stipendi sui conti della squadra, la Parmalat se ne faceva carico sotto forma di fittizi contratti pubblicitari e di sponsorizzazione. Un giochino da 8 milioni di euro. Il conto dei circenses prima o poi torna indietro.

da Il Fatto Quotidiano dell’8 dicembre 2013

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