Non c’è prodotto al mondo più annunciato, atteso e meno venduto dell’auto elettrica. E’ almeno un ventennio che se ne parla con entusiasmo e speranza, salvo poi scoprire che gli acquirenti per ora latitano. Da Renault a Daimler, da Volkswagen a Ford, da Bmw a Nissan, dopo tante false partenze i grandi costruttori si stanno però convincendo che è arrivato davvero il momento buono. Perché, come dicono quasi all’unisono e in gergo, la “tecnologia è matura”.

Negli ultimi anni sono stati fatti passi da gigante grazie soprattutto all’introduzione delle batterie al litio che però sono molto costose a causa della materia prima usata, un minerale i cui giacimenti si trovano per più del 50 per cento nei laghi salati prosciugati delle Ande boliviane. Con queste nuove apparecchiature ogni auto è capace di percorrere con una carica da un minimo di 100 chilometri in media ad un massimo di 200. Che non sono pochi considerando che l’auto elettrica è pensata soprattutto per un uso cittadino e che il 60 per cento degli automobilisti europei non percorre più di 30 chilometri al giorno, mentre solo una minoranza del 10 per cento copre tragitti giornalieri di oltre 100 chilometri. Ma non sono nemmeno tantissimi se messi a confronto con l’autonomia di un’auto tradizionale che arriva anche a 1.000 chilometri e passa. Secondo uno studio recente di Abi, un centro ricerche di Singapore, il numero di auto elettriche consegnate ogni anno nel mondo passerà dalle attuali 150mila, una quota praticamente trascurabile, a 2 milioni e 360mila entro il 2020, con un tasso di crescita annuo di circa il 48 per cento. Mentre il centro Roland Berger stima che l’elettrico salirà al 12 per cento del mercato nel 2025.

Nel gruppo di testa dei produttori la Fiat probabilmente non ci sarà pur avendo manifestato qualche anno fa una certa attenzione alla faccenda investendo in ricerca e tecnologia con risultati non disdicevoli a livello europeo. La cura Marchionne sta dando i suoi frutti anche a questo proposito. Come una mosca bianca tra i manager mondiali dell’automobile, l’amministratore delegato della grande casa torinese non crede né poco né punto all’auto elettrica tanto che una volta è arrivato addirittura a bollare di masochismo industriale i suoi colleghi che si incaponiscono a puntarci e a investirci.

La conseguenza è che grazie a queste tetragone convinzioni l’Italia perderà l’appuntamento tecnologico con quella che, almeno per il traffico cittadino e metropolitano, viene considerata l’auto pulita del futuro in forza soprattutto del suo quasi trascurabile effetto inquinante. Mentre gli automobilisti faranno più fatica dei colleghi di tutta Europa a inserirsi da acquirenti nell’alveo grande dell’elettrificazione automobilistica. Già da ora l’Italia non è tra i Paesi dove l’auto elettrica è più venduta. Al primo posto c’è la Norvegia, al secondo il Giappone, poi vengono Stati Uniti e Francia. In termini assoluti il mercato più ricco è quello americano con 16mila Nissan Leaf vendute da gennaio a settembre e circa 10mila Tesla S, auto da amatori, con un prezzo che va da 72mila euro a circa 100mila. Dall’inizio dell’anno passato ad oggi in Italia sono stati venduti poco più di 5mila veicoli elettrici, commerciali e minicar compresi. Leader del mercato con oltre il 40 per cento di vetture è Renault, unica casa automobilistica europea con auto elettriche su ogni segmento della gamma, dalle cittadine alle berline.

L’arretratezza italiana è destinata a crescere. Pochi altri sistemi di trasporto richiedono al pari dell’auto elettrica una “logica di sistema”, un modo di pensare e comportarsi in cui il nostro Paese di solito non eccelle. Logica di sistema vuol dire che una serie di soggetti e di elementi devono integrarsi rendendo possibile lo sviluppo della nuova tecnologia e la sua affermazione nel mercato. Prima di tutto è necessario che le case produttrici continuino ad investire in ricerca migliorando il prodotto, consentendo alle auto di diventare più affidabili acquisendo soprattutto un’autonomia di movimento sempre maggiore.

L’altro punto senza il quale l’auto elettrica non può affermarsi è la rete di punti di ricarica. In assenza di un numero adeguato di colonnine a cui attaccare la macchina per reintegrare la funzionalità delle batterie, è assolutamente velleitario pensare ad un mercato dell’auto in grande stile. Qui entrano in ballo le aziende elettriche. L’Enel che in Italia è la più grande ed è a controllo pubblico sembra puntare con una certa convinzione sull’auto elettrica ed ha già piazzato un migliaio di punti di ricarica, sostanzialmente di due tipi: domestici e pubblici. Le stazioni domestiche sono composte da un contatore installato nel garage o nel box di casa; quelle pubbliche sono le colonnine che si cominciano a vedere nelle città, collocate in punti considerati strategici, concordati con le amministrazioni pubbliche. La cosa positiva è che al momento non vengono prese di mira dai vandali, come fossero protette da una miracolosa mano invisibile. L’Enel è in grado di seguire attraverso un centro di controllo le varie fasi di ricarica, calcolando il consumo e stabilendo l’importo che viene addebitato in bolletta.

Tutto ciò, però, non basta se poi l’acquisto dell’auto non viene accompagnato da una politica di sgravi. Al momento il grande handicap dell’elettrico è il prezzo iniziale, superiore di circa un terzo rispetto alle vetture tradizionali a causa delle batterie. Il costo di partenza, è vero, viene ammortizzato con il passare del tempo grazie a spese di manutenzione assai più contenute e soprattutto per effetto dei bassi consumi. Gli esperti stimano che mentre un automobilista in 5 anni percorrendo in media 10mila chilometri l’anno spende di carburante quasi 5mila euro con un’auto media a benzina, 2.700 con una a gpl, 2.100 con una a metano, 3mila con un diesel, con un’auto elettrica se la cava con meno di 1.000 euro.

Ma il balzello del prezzo di listino rimane. E dopo che la Fiat ha puntato sul metano come alternativa pulita a benzina e diesel, il risultato è che da noi il concetto stesso di auto ecologica resta assai vago e l’equivoco si riflette sulla politica degli incentivi. All’inizio dell’anno il governo Monti ha introdotto sgravi per l’acquisto di auto ecologiche con criteri assai farraginosi che non hanno fatto scattare la voglia di acquisto di auto elettriche. Il 20 per cento circa di sconto sul prezzo di listino viene concesso per lo più in presenza di rottamazione e anche se con massimali differenti, a tutte le vetture considerate ecologiche , da quelle a metano alle ibride, senza un vantaggio forte per le elettriche. Favorendo così, nei fatti, proprio le non elettriche, a cominciare dalle auto a metano della Fiat che avendo un costo iniziale più basso risultano di primo acchito più convenienti per i clienti. Con queste premesse è assai difficile che in Italia per le auto elettriche si passi dalle intenzioni ai fatti. Secondo una ricerca di Deloitte più del 70 per cento degli italiani comprerebbe volentieri un’auto elettrica se ci fossero le condizioni per farlo. Purtroppo i presupposti al momento restano modesti. Gli automobilisti possono mettersi il cuore in pace mentre i cittadini devono rassegnarsi a città sempre più inquinate.

Da Il Fatto Quotidiano del Lunedì del 25 novembre 2013

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