“Grazie ai magistrati si è scoperchiato un pentolone dove – posso dirlo in televisione? – degli infami, che sono degli infami, hanno venduto la salute e l’ambiente dei tarantini”. Eccola la frase pronunciata da Angelo Bonelli, leader dei Verdi ed ex candidato sindaco di Taranto, nel corso della trasmissione Servizio Pubblico dedicata all’Ilva, il 30 novembre scorso. Dichiarazioni che sarebbero “gravemente offensive dell’onore, del decoro e alla reputazione personale e professionale” di Emilio Riva, 86enne ex patron dello stabilimento siderurgico agli arresti domiciliari dal 26 luglio scorso per disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro e dal 26 novembre scorso accusato anche di associazione a delinquere e di corruzione in atti giudiziari per aver versato, secondo l’accusa, una tangente di 10mila euro all’allora perito della procura Lorenzo Liberti per ammorbidire una perizia sull’Ilva.

Emilio Riva, per il gip Patrizia Todisco, è uno degli uomini che ricoprono un “ruolo apicale” nell’associazione per delinquere di cui fanno parte altri membri della famiglia Riva responsabili secondo le accuse della drammatica situazione ambientale ionica. Come il figlio Fabio, sfuggito alla cattura che gli sarebbe costata il carcere perché il giorno dell’arresto era in Inghilterra dove ancora si trova in attesa della decisione dei giudici londinesi sulla richiesta di estradizione presentata dalle autorità italiane. Lo stesso uomo che al telefono, ignaro di essere intercettato dagli uomini della Guardia di finanza di Taranto, dichiarò che “due casi di tumore in più all’anno … una minchiata …”. Oppure come l’altro figlio Nicola Riva, anch’egli ai domiciliari dallo scorso 26 luglio. Su Nicola Ed Emilio Riva, qualche settimana fa, confermando definitivamente le misure cutelari la corte di Cassazione ha spiegato che i reati sono stati “posti in essere con condotta sia commissiva che omissiva, con coscienza e volontà per deliberata scelta della proprietà e dei gruppi dirigenti che si sono avvicendati alla guida dell’Ilva i quali hanno continuato a produrre massicciamente nell’inosservanza delle norme di sicurezza con effetti destinati ad aggravarsi negli anni”.

Nonostante nelle parole di Angelo Bonelli, tra i pochi che hanno osato sfidare la famiglia Riva, non ci sia alcun espresso riferimento a Emilio Riva, per il legali dell’anziano proprietario dell’acciaieria ionica, “è evidente che egli si riferisce agli ex responsabili della gestione dello stabilimento di Taranto e in particolare all’ingegner Riva nella sua qualità di ex presidente della società Ilva spa”. I legali di Emilio Riva hanno deciso così di citarlo in giudizio (civile) dinanzi al tribunale di Varese chiedendo un risarcimento di 500mila euro. Un’azione che nei mesi scorsi il presidente Bruno Ferrante ha mosso anche contro alcuni giornalisti. Insomma i tempi in cui Girolamo Archinà, ex responsabile delle relazioni istituzionali dell’Ilva in carcere dal 26 novembre, riusciva a “tenere tutto sotto coperta” sono lontani.

Ora l’Ilva trascina in tribunale la politica e la stampa. Fatti sintomatici di come l’attenzione sull’Ilva sia cambiata. Il primo ad accorgersene era stato lo stesso Archinà che al telefono il 13 luglio 2010 affermava malinconicamente: “Sono costretto a dire avevo ragione! Cioè io ho sempre sostenuto che bisogna pagare la stampa per tagliarli la lingua! cioè pagare la stampa per non parlare!”. Non solo. Archinà aveva anche la certezza di saper trattare i politici nel modo dovuto. Tanto da poter dare lezioni “gratis”, affermava in un’altra telefonata catturata dalle fiamme gialle. Ma l’Ilva non è più quella di Archinà. L’azienda ha scelto un nuovo percorso. Sarà un giudice a stabilire se l’onore di Emilio Riva o dell’azienda in generale è stato leso, ma intanto è doveroso prendere atto di come sia cambiata l’aria che si respire nei piani alti dell’azienda. La speranza è che presto cambi anche l’aria di “malattie e morte” – come dicono i periti – che respirano i tarantini. 

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