Si sta avvitando in una pericola spirale la crisi politica venezuelana. Nella notte tra lunedì e martedì è stato evitato per un soffio un golpe in partenza da Maracaibo, regione petrolifera. La notizia, non confermata ufficialmente, viene da due fonti di segno politico opposto. Si moltiplicano in queste ore le chiamate alla lealtà e al rispetto dei doveri dell’esercito. I timori di un golpe, sempre nell’aria ma scongiurato dal governo attraverso un drastico repulisti compiuto da Hugo Chavez nelle file militari dopo il colpo di stato subito l’11 aprile del 2002, si sono riaffacciati da domenica scorsa. Non è solo propaganda chavista, non si tratta solo di semplice tattica per mantenere mobilitati gli attivisti. La vittoria di Nicolas Maduro, designato dall’ex presidente Chavez per la successione, è stata più debole del previsto. La destra venezuelana sta tentando di rialzare la testa dopo 14 anni di sconfitte in 18 elezioni (ha incassato solo un buon risultato in 18 sfide elettorali, quando nel dicembre 2006 fu bocciata da referendum popolare una nuova Costituzione che modificava in senso socialista l’impalcatura isituzionale). Dopo tante batoste la vittoria stretta di Maduro apre dighe politiche di ogni genere a destra. Ovvio che qualsiasi piano, anche quello estremo di usare i militari, si sia accelerato in queste ore. Non sarà facile per l’opposizione fare breccia tra i militari, ma pare che ci stiano provando in molti. 

Da ieri sono pronti due ordini d’arresto per Henrique Capriles e Leopoldo Lopez. Capriles è il capo dell’opposizione, sconfitto da Nocolas Maduro per 262.473 voti. Entrambi di estrema destra, entrambi legati al falangismo armato. Capriles, che si è rifiutato di riconoscere la vittoria di Maduro e gli chiede il riconteggio dei voti cartacei, è indicato dal governo insieme a Lopez, referente politico dei paramilitari, come il responsabile degli scontri degli ultimi due giorni in cui, secondo i dati ufficiali, sono morte sette persone.

I consiglieri più accorti del presidente stanno spingendo perché l’ordine non venga emesso. “Non creiamo degli eroi, a cosa ci serve?” si raccomandano visibilmente esausti. In Venezuela il sistema di voto elettronico prevede l’emissione di una scheda, una sorta di scontrino cartaceo, a voto avvenuto. L’elettore vota prima elettronicamente, poi prende lo scontrino di carta e lo deposita in un’urna. Tutti gli osservatori internazionali (di tre organizzazioni diverse: quella latinoamericana di Unasur, quella nordamericana del centro Carter e quella internazionale del Consiglio nazionale elettorale) hanno publicamente riconosciuto la correttezza delle operazioni di voto. Capriles ha comunque chiesto il riconteggio, Maduro gliel’ha negato e da lì sono partiti gli scontri. Non si è trattato di battaglie aperte tra i bracci armati dei due schieramenti, bensì di un’ondata di aggressioni a sedi del partito di governo, a singole persone che stavano festeggiando la vittoria, di assedi a case private. La casa della presidente del Consiglio nazionale elettorale, considerata dall’opposizione di parte, è stata tenuta sotto assedio per ore.

Martedì Maduro ha inasprito i toni, provocando a sua volta l’avversario e citando Cuba, la bestia nera dei peggiori incubi dell’opposizione, almeno un paio di volte in ogni discorso pubblico. La rapida precipitazione verso il confronto armato sembra però rallentarsi. Un balsamo sono state le dichiarazioni favorevoli al governo arrivate dall’estero. Non solo la reiterazione dell’appoggio totale del Brasile, una manna dal cielo per il governo venezuelano, ma il riconoscimento, da parte della Spagna, di Maduro come presidente legittimo. Molto allarme aveva creato il disappunto mostrato dal ministro degli esteri di Madrid subito dopo l’elezione. La Spagna – seguita a ruota dal portavoce del Fondo monetario, poi da quello del dipartimento di stato statunitense e infine da quello del governo colombiano – fu il primo Paese nell’aprile del 2002 a riconoscere come legittimo il governo golpista che aveva fatto sequestrare Hugo Chavez e a mandare auguri di buon lavoro a Pedro Carmona, capo dell’allora confindustria venezuelana autoproclamatosi presidente un attimo prima di sciogliere il parlamento. I buoni segnali in arrivo da fuori confine, cominciando dal rinsavimento di Madrid, sembrano aver rasserenato gli animi negli uffici presidenziali. Ciò nonostante Diosdado Cabello, presidente del parlamento e influente leader chavista molto ascoltato da un consistente gruppo di alti ufficiali, ha destituito tutti i presidenti di commissione dell’opposizione. Nella danza delle parti, dall’una e dall’altra parte degli schieramenti politici venezuelani, c’è chi spinge per il gioco duro.

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