Un paradiso fiscale a portata di click. Paolo Cirio abile hacker-artista e attivista politico, da qualche settimana ha messo on line il progetto loophole4all.com che permette di acquistare a soli 99 centesimi di dollaro un certificato (qui) di una società registrata nel paradiso fiscale a due passi da Cuba: “Il mio progetto – ha spiegato Cirio – è una provocazione, che popone di rubare l’identità delle aziende registrate alle Cayman comprando un documento che certifica che si è proprietari di queste imprese”.

Banche inaccessibili, conti segreti e società offshore adesso tremano davanti alla prospettiva di essere craccati dall’’Assange dell’arte’, come è stato ribattezzato Cirio. Il progetto non è del tutto ortodosso, ma lui si giustifica dicendo che la sua è una prospettiva artistica che “democratizza e rende disponibili a tutti vantaggi che invece sarebbero fruibili solo da chi ne conosce i meccanismi”. Quindi vuole trovare una finalità etica in un’azione e ai limiti della legalità? Sì. Cirio non vuole essere un “Robin Hood 2.0” ma denunciare che “l’esistenza dei paradisi fiscali è il motivo per cui la maggior parte dei governi è in deficit, perché chi lì guadagna molto non paga le tasse. Quindi, se la crisi colpisce i servizi sociali di base, il motivo sono le Cayman, in un certo senso”.

Loophole4all in pratica è un sito dove le “persone possono comprare dei passaporti falsificati”. Ognuno infatti può acquistare il documento di queste società e pretendere di esserne il titolare. “L’unico atto che certifica la proprietà è quello che vendo. Questo è possibile perché le società alle Cayman sono anonime e nessuno conosce l’identità di chi ha aperto un conto”. Di fatto, “ci sono molte imprese italiane negli elenchi informatici delle Cayman, comprese quasi tutte le nostre banche. Ad esempio, tutto lo scandalo della Parmalat è nato per colpa dei fondi depositati nell’isola”. Tra i nomi delle società che Cirio ha messo on line troviamo: Del Monte, Parmalat, Monte dei Paschi di Siena, Banca di Roma, Banco di Napoli, Esso, Facebook, Amazon, Alitalia e molte altre. Se non sono delle curiose omonimie, si tratta delle aziende che conosciamo.

Ma chi ha acquistato i certificati potrà davvero pretendere di incassare parte dei soldi giacenti sui conti? “Io non c’ho provato e quindi non posso dirlo, ma magari funziona”, risponde beffardo Ciro. A questo punto si tratta di avere fiducia. Ma che affidabilità ha questo mago del web? Non poca. O almeno, quella che serve per craccare siti come Facebook, Amazon, e “anni fa anche la Nato per ragioni pacifiste”. E alcune gallerie d’arte internazionali gli hanno  già chiesto di poter esporre i suoi certificati. Quello di Cirio non è un metodo per far soldi, perché è facile immaginare che chi ha una tale dimestichezza con il mondo sommerso dell’hackeraggio potrebbe trovare soluzioni meno appariscenti per far cassa. Il suo progetto è una provocazione diretta alle Cayman e “ai politici di tutte le nazioni che permettono alle aziende di poter operare nei paradisi fiscali”. Ma soprattutto è un campanello d’allarme per svegliare la coscienza di chi “ancora paga le tasse e probabilmente più di quante non ne versi una multinazionale come Facebook, Amazon o altre compagnie petrolifere”.

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