Fatta la legge, trovato l’inganno. Mentre fioccano i provvedimenti contro i bonus dei manager, dal recente referendum svizzero al tetto sui premi proposto dall’Unione europea, le banche studiano nuove tecniche per raggirare le riforme. Come, per esempio, aprire dei conti speciali per i dipendenti dove depositare i premi all’inizio dell’anno, senza che questi vengano considerati come bonus, e sottrarre parte della somma alla fine dell’esercizio nel caso in cui i risultati non siano stati raggiunti. Oppure creare appositamente alcuni strumenti finanziari di lungo periodo per premiare divisioni specifiche delle banche, dove i singoli trader si divideranno la somma alla fine dell’anno, con l’effetto di rendere meno trasparenti i compensi.

A fare discutere è stato soprattutto l’accordo trovato nelle ultime settimane dall’Unione europea, poi rinviato sotto la pressione di Londra per il bisogno di risolvere “dettagli tecnici”. L’intesa, presentata come un provvedimento storico che avrebbe messo fine all’era dei super premi, prevede che le banche potranno pagare premi fino a un massimo di due volte il salario fisso, a condizione che ci sia sufficiente sostegno da parte degli azionisti. Ma la reazione delle banche, secondo gli osservatori, sarebbe prevedibile: alzare gli stipendi fissi, rischiando di rendere la struttura dei costi meno flessibile, nonostante lo stesso accordo dell’Unione europea imponga tra l’altro livelli maggiori di liquidità per rendere gli istituti di credito più stabili.

Il provvedimento dell’Unione europea vuole quindi disincentivare i manager da assumere rischi troppo elevati per ottenere i premi. Ma i dirigenti non sono gli unici a caccia di risultati. Anche gli azionisti, che secondo l’accordo Ue dovranno approvare i premi dei banchieri, puntano ad aumentare i profitti delle società per fare impennare il valore dei titoli azionari. E non avrebbero quindi motivo di tagliare i bonus rischiando di disincentivare i dirigenti.

Non solo. La conseguenza più estrema del provvedimento Ue, come sottolinea Nils Pratley sul Guardian, è la fuga dei manager dalle banche per entrare in settori finanziari meno regolati, come gli hedge fund. Il provvedimento potrebbe perfino danneggiare gli stessi Paesi dell’Unione europea. I dirigenti delle banche europee, secondo Michael Schuman di Time, per evitare il rischio dei tagli ai premi si sposterebbero negli istituti di altri Paesi, soprattutto americani o asiatici, lasciando i più “incompetenti” alla guida delle banche del vecchio continente.

L’intesa dell’Unione europea non è stata l’unica proposta delle ultime settimane contro i super bonus. Ha fatto il giro del mondo la notizia del successo del referendum con cui la Svizzera ha approvato una bozza di legge che vieta alcuni premi ai manager delle aziende elvetiche quotate alla Borsa nazionale o in quelle straniere. Il provvedimento, tuttavia, lascia agli azionisti la decisione sui compensi. Questo dettaglio ha sollevato critiche da chi si aspettava un vero tetto massimo agli stipendi, che sarebbe stato sicuramente più difficile da “raggirare”. E anche l’Ue, rappresentata dal commissario al Mercato interno Michel Barnier, si è detta pronta a limitare i salari dei dirigenti. Ma, anche in questo caso, l’ultima parola sui compensi spetterà agli azionisti.

Qual è, allora, la soluzione più efficace per fermare i ricchissimi premi? Una possibilità, secondo gli esperti, è seguire l’esempio di Citigroup, che ha stretto a febbraio il legame tra i bonus e la performance dei dirigenti. La banca americana, rispondendo alle pesanti critiche sollevate per i premi del nuovo amministratore delegato Michael Corbat, ha annunciato che una parte degli 11,5 milioni di dollari promessi al manager saranno vincolati al risultato. Ma, anche in questo caso, la manovra rischia di essere controproducente. Così facendo, secondo i critici, gli executive saranno infatti più propensi ad assumere rischi elevati per ottenere risultati positivi a breve termine, senza preoccuparsi delle conseguenze a lungo termine.

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