Dalla prospera Germania emigrano migliaia di persone.

La notizia potrebbe avere dell’incredibile; se dalla nazione dell’efficienza, presa a modello come mercato che crea opportunità, promuove la crescita economica, genera benessere e nuovi posti di lavoro, si deve emigrare, c’è qualcosa che non va, magari la notizia è messa in giro dai soliti detrattori keynesiani che rifiutano di accettare la superiorità del sistema tedesco; oppure ci deve essere un errore nei dati.

In realtà l’equivoco sta nella natura degli emigranti; non si tratta infatti di giovani ricercatori respinti da un’asfittica e miope struttura universitaria oppure di manodopera qualificata che non trova sbocchi in un’industria che disinveste, bensì di anziani, pensionati una volta sostenuti dal welfare che oggi sembra essere diventato un lusso.

La notizia è stata originariamente pubblicata dal “Guardian” e poi ripresa dalla stampa di altri paesi; già oggi ci sono oltre 10.000 cittadini tedeschi che hanno scelto case di riposo in Ungheria, Romania, perfino in Thailandia, perché la struttura economica e sociale tedesca non consentirebbe loro di sopravvivere nella loro nazione d’origine.

Fatti loro, dirà qualcuno; noi abbiamo già troppe gatte domestiche da pelare per occuparsi dei felini altrui; probabilmente vero, salvo il fatto che la Germania con la sua presunta “economia sociale di mercato applicata” è il modello esplicito di Mario Monti cui fa riferimento il “centro moderato”.

Per 12 mesi ci è stato proposto, da Monti e dai suoi tecnici, il modello tedesco, spiegandoci come le misure che ci sembravano indigeste o peggio deleterie fossero finalizzate non tanto alla uscita da un problema immediato, vuoi di credibilità o di oggettiva insostenibilità del debito, ma, educativamente, a un cambiamento culturale profondo, necessario per uscire dal medio evo economico troppo a lungo coltivato, per preparasi a entrare nell’evo moderno, rappresentato al meglio dal sistema tedesco, che abbiamo persino iniziato a superare in campo previdenziale con una riforma che lo batte sui tempi.

Mi domando se la notizia pubblicata dal Guardian offrirà spunti di riflessione ai liberisti Friburghesi, agli Ichino, ai Montezemolo, ma soprattutto agli attuali giovani elettori e futuri anziani e se la discussione si sposterà almeno ogni tanto dalle questioni di spread alla domanda basilare: che tipo di società vogliamo costruire?

Se il “teutonico” Monti e i suoi sostenitori hanno in mente la replicazione del modello tedesco senza variazioni da concertarsi – parola che li farà inorridire – se ci vogliono germanizzare in fotocopia, se l’Agenda è non negoziabile – altra parola che farà inorridire – allora il Guardian ci ha fornito un’ottima ragione per riflettere molto bene prima del voto, evidenziandoci effetti collaterali non proprio marginali, anzi rappresentazione di una non società.

Beninteso, la nostra oggi, nella quale i giovani se ne devono andare, i ricercatori pure e la politica – p minuscola – drena risorse vitali direttamente o attraverso clientele tentacolari è una società destinata a morire, ma una società nella quale gli anziani meno abbienti devono emigrare per andare a morire lontano dal branco, come gli elefanti, è già morta.

Monti, Fornero, ci hanno dipinto come una società – da dimenticare – nella quale gli anziani vivono di rendita succhiando la linfa vitale dei giovani; tralasciamo di polemizzare sul fatto che per ovviare non sono stati tagliati i privilegi passati, ma penalizzate pensioni a venire, già riformate più volte negli anni precedenti.

Da questo tipo di società, che mitologicamente è esemplificata da Saturno che divora i suoi figli, si deve rifuggire ma, se in essa ci troviamo, vorremmo uscirne per fondarne una nella quale, sempre con riferimento mitologico, agli anziani si debba il rispetto che gli eroi dell’Iliade, persino l’invincibile Pelide Achille, riserbano al Nelide Nestore, ormai non più nella possibilità di combattere con le armi, ma la cui parola viene ascoltata con rispetto e per prima nelle assemblee. Una società nella quale, in nessuna delle età della vita, sia necessario emigrare per sopravvivere.

Qui non si tratta più di discutere di sistemi economici migliori o peggiori, di capire o meno i meccanismi che azionano lo spread, di discutere l’eticità dei Credit Default Swap quando fatti su titoli che non si posseggono; no, si tratta di dirsi se intendiamo avere o no una società solidale nella quale le generazioni si sostengono a vicenda, in modo bidirezionale e nella quale il sistema educativo, quello sanitario e quello pensionistico non siano visti come un costo da riconvertire in riduzione del debito, né come luoghi di collocamento a scopi clientelari.

Forse, alla fine, la soluzione potrebbe stare proprio dove alcuni l’hanno suggerita sin dall’inizio: riforme, necessarie riforme, ma con buon senso e flessibilità – l’opposto di quella delle pensioni, per intendersi – senza rimanere attaccati a ciò che è stato, ma senza estremismi né replicazioni ottuse di modelli, specialmente se danno evidenze di fallimenti già in atto.

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