Il professore e grand’ufficiale Mario Ciaccia, magistrato della Corte dei Conti prima, banchiere poi, viceministro per le Infrastrutture infine, non vende fumo. Ci crede. Vuole ridarci prosperità inondando l’Italia di cemento costoso come l’oro, e riempiendo di debiti le prossime generazioni, mentre il governo dei tecnici scortica le famiglie italiane in nome della lotta al debito pubblico. E lo lasciano fare.

Con la complicità solerte del suo capo di sempre, Corrado Passera, che creò per lui, dentro Intesa Sanpaolo, la Banca per le Infrastrutture (Biis), Ciaccia sta attuando il suo piano. Ha esordito lo scorso gennaio annunciando “un nuovo miracolo italiano”, senza che Passera facesse in tempo a dirgli che era un po’ vecchia.

Adesso ha affidato alla rete un memorabile videomessaggio di cinque minuti, in cui si fa cartone animato, e spiega i suoi piani con modestia: “Il mio mestiere è trovare soluzioni per il rilancio del Paese”. La prima notizia è terrificante: la mancanza di infrastrutture provoca il raddoppio dei nostri costi industriali, ci avverte Ciaccia. Però entro il 2015 il governo attiverà 100 miliardi di euro per le grandi opere “senza creare debito” (testuale). Il miracolo è così descritto. Investiamo sui porti, così le navi-container provenienti da Suez, anziché circumnavigare l’Europa per andare a Rotterdam e Amburgo, scaricheranno lungo la penisola, dove avremo costruito le ferrovie per portare i container al nord Europa. La fantasia del vice ministro non si ferma qui. Vuol catturare anche i container diretti agli scali del Nordafrica, senza spiegare perché un comandante dovrebbe attraccare a Napoli se la merce è diretta ad Algeri.

Ciaccia sogna di portare così in Italia 7 milioni di container all’anno, un aumento del 70 per cento rispetto al traffico attuale. Vuol trasformare il Belpaese in un gigantesco scalo merci, attraversato senza motivo da container diretti altrove: calcolatrice alla mano, ogni giorno si formerebbero treni merci per 230 chilometri di lunghezza.

Ma che importa. Grandi opere purché siano. Quando il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha detto che per rilanciare l’economia l’unica cosa è “un ampio progetto di manutenzione immobiliare e cura del territorio contro il dissesto idrogeologico”, Ciaccia ha finto di non sentire. A lui piace il cemento, quello che finanziava con la traballante Biis: il bilancio 2011 della banca si è chiuso con quasi 500 milioni di perdita (causa investimento in bond greci), e, appena se n’è andato , Intesa l’ha sciolta nella divisione corporate.

Liberatosi degli angusti confini della banca, Ciaccia può ora lietamente attingere alle casse dello Stato, “senza fare un euro di debito”.

Il sistema è noto da almeno vent’anni. Ricordate l’alta velocità? Nel 1991 dissero che si ripagava con il traffico, grazie al magico project financing. Inventore del miracolo fu Ercole Incalza, oggi braccio destro di Ciaccia al ministero, un virtuoso del settore. La Torino-Milano-Roma è stata pagata fino all’ultimo centesimo con denaro pubblico, è costata il triplo del previsto e ha generato ben 90 miliardi di debito pubblico. Ciaccia conosce bene la tecnica. Fino al giorno che lo chiamarono al governo ripeteva che il Terzo valico, l’inutile alta velocità Genova-Voghera, fiore all’occhiello della Biis, si finanziava con il traffico. Una follia assecondata dalle Fs, il cui numero uno Mauro Moretti esegue in silenzio ogni opera inutile impostagli dai politici, come la Torino-Lione. Il primo atto di Ciaccia al governo è stato mettere il Terzo valico tutto a carico dello Stato.

Adesso il nostro eroe sta industrializzando la produzione di debito pubblico. Nell’ultimo “decreto sviluppo” ha introdotto una geniale novità: chi costruisce un’infrastruttura avrà diritto a un credito d’imposta fino al 50 per cento del valore dell’opera (cioè il contribuente pagherà fino al 50 per cento del valore dell’opera) se sarà dimostrata “la non sostenibilità del piano economico finanziario”. E se non bastasse, interverrebbe un “contributo pubblico a fondo perduto”.

Nel sistema di Ciaccia, proponi di fare un’autostrada a tue spese che si ripaga con il traffico, ma se riesci a dimostrare che non ci passerà nessuno allora pagherà il governo, con i soldi dei nostri figli. Non è uno scherzo, c’è scritto proprio così nella legge.

Ultima novità è l’autostrada Orte-Mestre, la Nuova Romea, 10 miliardi di spesa per 400 chilometri. La fanno i privati. Ma se, com’è evidente, non ci sarà mai abbastanza traffico da ripagare i 10 miliardi, niente paura, pagherà lo Stato. E dove sta il rischio d’impresa? Semplice: trasferito nelle tasche del contribuente, che però lo scoprirà solo tra vent’anni. Com’è capitato con la Tav spa di Incalza. Nessun politico fiata: i costruttori hanno amici in ogni partito.

Il Fatto Quotidiano, 18 Ottobre 2012

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