Da tempo in casa Arcigay si viveva da separati in casa, in un clima segnato da espulsioni, malumori,  lotte fratricide. Ora però, in vista del congresso nazionale che dovrà decidere i nuovi vertici, previsto a Ferrara al 24 al 26 novembre, l’aria che si respira nella maggiore organizzazione gay d’Europa è da guerra aperta.

Da una parte ci sono coloro che vorrebbero rinnovare l’incarico al presidente uscente, il siciliano Paolo Patané, in carica dal 2010. Dall’altra, invece, si posiziona quella fetta di iscritti, che non ha gradito la gestione degli ultimi tre anni, e che per questo sostiene la candidatura Flavio Romani, attuale presidente dell’Arcigay ferrarese. Una corrente ampia quest’ultima, che include i volti storici del attivismo lgbt, come Franco Grillini, e i bolognesi del circolo Il Cassero, che ora ipotizzano addirittura l’uscita dal movimento nazionale.

“L’attuale dirigenza è attaccata alla poltrona come la cozza alla scoglio” dice senza mezzi termini Grillini, presidente onorario di Arcigay e consigliere regionale dell’Idv in Emilia Romagna. La sua bocciatura è netta: “Negli ultimi anni abbiamo assistito a una gestione personalistica, leaderistica ed egocentrica – accusa Grillini -.  Una gestione che, ovviamente, la maggioranza degli iscritti non condivide”.  A inasprire lo scontro, l’espulsione, decisa a febbraio del 2011 dal presidente Patané, di Fabrizio Marrazzo, guida del circolo Arcigay romano. Un’epurazione mal digerita da una parte del associazione e finita poi con il reintegro di Marrazzo, per via di una sentenza del Tribunale di Bologna. “Io ho firmato una mozione per il ripristino della democrazia interna, affinché l’Arcigay torni ad essere un’associazione dell’Arci, dove una tessera corrisponde a un voto”.

Ma il fallimento, secondo Grillini, è anche “organizzativo”, legato agli obiettivi dell’associazione. “Se l’Arcigay non riesce a fare il suo mestiere allora meglio che si sciolga”. Il riferimento è alla battaglia per il riconoscimento del matrimonio tra gli omosessuali. “Quanti ne ha organizzati l’Arcigay negli ultimi tre anni? Zero. Perché ha fatto tutto tranne quello che doveva davvero fare. Per questo bisogna cambiare subito l’attuale dirigenza, che ha deluso su tutti i fronti”.

Insomma, a due mesi dal congresso la tensione è altissima. A fianco di Patané si sono schierati iscritti e esponenti della Toscana, della Calabria e della Sicilia. Mentre l’area a sostegno di Romani include soprattutto Veneto, Lazio, Marche ed Emilia Romagna. Oltra a Grillini, tra i firmatari della mozione “Uguaglianza a libertà” collegata alla candidatura di Romani, ci sono anche Emiliano Zaino, presidente dell’Arcigay Bologna, e Sergio Lo Giudice, presidente onorario e capogruppo del Pd in Comune a Bologna.

E proprio al Cassero, storico circolo nato nel 1982 a Bologna, e oggi tra i più importanti finanziatori dell’Arcigay nazionale, si sta valutando l’ipotesi di una “exit strategy”. Ossia un’uscita dall’associazione. Nella mozione presentata per il congresso provinciale del 23 settembre, infatti, si legge: “Negli ultimi anni Arcigay è stata teatro di una guerra fratricida intensissima che ha indebolito il ruolo dell’associazione, paralizzato i processi decisionali, reso faticosissimo il lavoro progettuale e svuotato le casse”. Da qui l’esigenza di maggior indipendenza: “Qualora anche la nuova dirigenza eletta dal congresso non si mostrasse all’altezza di superare i conflitti e di proporre pratiche nuove di convivenza al suo interno, il Cassero ritirerà la sua delega sulle istanze e inizierà un percorso assembleare volto a sondare nella base sociale l’opportunità di avvalersi di nuove reti nazionali di collaborazione tra realtà lgbt, senza escludere, nella peggiore delle ipotesi, la modifica del rapporto con Arcigay”.

Un aut aut che potrebbe risolversi con il divorzio tra l’Arcigay e uno dei suoi pezzi più importanti e influenti. “È chiaro che in questi anni il Cassero si è trovato in una posizione difficile – spiega Grillini – ma io mi batterò affinché rimanga nell’orbita dell’organizzazione nazionale, che però deve tornare a essere democratica e unitaria”. Ma il documento del Cassero rivela anche una crisi d’identità ed economica, che va oltre il rapporto con i vertici. “Tra i frequentatori del circolo si respira poco entusiasmo, scarseggia lo spirito del fare, bassissimo è il coinvolgimento – si legge ancora in quello che è sembrato a molti un mea culpa- Il Cassero sta attraversando una grave e prolungata crisi delle risorse in entrata”. Per questo sul tavolo c’è l’idea di una spendig review, che dovrà tenere conto, tra l’altro, “della nuova convenzione, che attribuisce interamente al circolo le spese relative alle utenze”.

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