Mio padre, comunista da sempre, di quel comunismo ormai scomparso, tutto ordine e pulizia, lavoro e sacrificio, aveva di Montanelli una ammirazione particolarissima, che ho fatto fatica a capire a lungo.

La lontananza politica da un personaggio come Montanelli, per come conoscevo mio padre era abissale, lo definiva semplicemente così “un anarchico di destra”, analisi sempliciotta da facchino del porto, ma che racchiudeva in sé una forma di venerazione autentica, due parole stridenti, secche, autoritarie, ecco così lui vedeva quest’uomo una persona a cui portare rispetto profondo benché lontano, lontanissimo dalle sue posizioni.

Anarchico è un termine sicuramente inadeguato al personaggio, ma il significato che ne dava mio padre era quello di una persona allergica al potere estremo, assoluto, questo era il senso della parola, fondamentalmente voleva dire di lui, autonomo, libero.

Gli estremi inevitabilmente si toccano, ma estremisti, non lo sono mai stati né l’uno né l’altro, allora perché questa “amicizia”, questo “connubio”, perché ogni volta che Montanelli appariva alla tv, vedevo mio padre alzare il volume mentre ci zittiva tutti.

In comune avevano molte cose, la stessa baldanza, lo stesso portamento, lo stesso sguardo diretto, la stessa ascetica magrezza, ma io volevo capire cosa avevano in comune nel cervello e allora mi interessai al personaggio in maniera più approfondita e più tardi, molto più tardi capii.

E’ nella natura delle cose credo, avere le stesse passioni dei propri genitori, anche se poi si può cambiare, ecco quindi la mia passione per Montanelli, accesa da una curiosità, dalla voglia di capire, di capire se l’uno si muovesse verso l’altro o viceversa, se le posizioni politiche coincidevano e dove e soprattutto volevo capire una cosa: mio padre era di destra?

Il solo pensiero mi disturbava, lo guardavo a volte lo osservavo di nascosto mentre sentiva le sue parole, o mentre leggeva qualche suo articolo.

Poi a tavola magari parlava di politica, diceva questo e quello, allora dopo andavo di corsa a prendere il giornale e leggevo più o meno le stesse parole ascoltate poco prima; quale influenza nefasta aveva quest’uomo, perché la pensavano allo stesso modo su cose che avrebbero dovuto allontanarli alla velocità della luce?

Montanelli era un giornalista, non faceva politica, ma forse proprio per questo era secondo il mio modo di vedere le cose allora, più “insidioso”, da giornalista criticava anche e la critica non la sopportavo perché da giovani ci si crede infallibili.

2 giugno 1977, io avevo 16 anni, le brigate rosse gambizzano Montanelli, il quale pur armato non risponde al fuoco o non ha la forza o il tempo di farlo.

Vidi alcune foto di Montanelli mentre era a terra, vicino ad una ringhiera, appena colpito dalle pallottole che lo ferirono in maniera seria ma fortunatamente per lui, non mortale, mi ricordo che mi ritornarono in mente le immagini di uno sceneggiato televisivo Rai, trasmesso credo pochi anni prima intitolato Joe Petrosino, in cui si vedeva nella scena finale il protagonista, il famoso poliziotto italoamericano interpretato da un grande Adolfo Celi, nella scena in cui viene ucciso, cadere a terra mentre si aggrappava ad una inferriata.

All’epoca quel tipo di sceneggiati erano seguitissimi in tv, io ero appena un adolescente e quel film, che ricostruiva la vera storia di un famoso poliziotto, un solitario eroe americano venuto in Italia per combattere la mafia, mi appassionò e impressionò molto,

Ecco così ricordo quella scena, la pena per un uomo solo, che centrato da colpi di pistola prima di cadere a terra si aggrappa ad una ringhiera.

L’analogia con Petrosino è solo un caso e sta solo nei miei ricordi, ma la pietà che provai fu la stessa per entrambi, in quell’uomo così forte, così sferzante nelle sue arringhe, così deciso, in qualche modo così potente, vidi una sorta di solitudine, la stessa solitudine, e vidi soprattutto la stessa statura morale, di quelle che sorpassano qualsiasi altra testa, per alta che possa essere.

Era questo che piaceva a mio padre di Montanelli, la sua statura morale e la sua nobiltà d’animo che dimostrò anche quando anni più tardi addirittura incontrò e perdonò i suoi attentatori.

La integrità morale, che sorpassa le idee preconcette, che ottenebra le convinzioni politiche.

Valore primario e assoluto la morale, che insieme al senso per la libertà, per l’indipendenza che gli faranno rifiutare la carica di senatore a vita propostagli da Cossiga, accompagneranno questo grande uomo per tutta la vita.

Ecco, alla fine ho scoperto cosa accomunava due persone così apparentemente lontane, mio padre e Montanelli, la integrità morale, che permette di vedere molte cose, e certi valori della vita allo stesso modo, nonostante le diversità.

Di una persona proba, si ascolterà sempre cosa ha da dire, qualunque cosa dica; la sua onorabilità, la sua sincerità sono la chiave per interpretare le sue idee, la sua vita stessa parla di queste cose, una vita senza compromessi, senza falsità, senza ipocrisie, con la consapevolezza comunque che la propria incorruttibilità avrebbe potuto anche nuocergli.

Una volta intervistato da Enzo Biagi, a proposito della possibile vittoria di Berlusconi alle elezioni politiche, Montanelli disse che Berlusconi era come una malattia, la cui cura sta nell’inoculazione del vaccino che altri non è che la malattia stessa.

In pratica ci saremmo immunizzati da Berlusconi, provandolo sulla nostra pelle, un bel governo, una volta e poi gli italiani avrebbero capito con chi avevano a che fare.

Ho creduto che Montanelli avesse sbagliato clamorosamente questa previsione, fino a qualche mese fà quando finalmente il vaccino ha, seppur in ritardo, fatto effetto.

Stendo un velo pietoso su questo governo del quale non voglio dire nulla.

Probabilmente la sua fiducia nelle capacità di sopportazione degli italiani era mal riposta, oppure aveva sottovalutato la malattia, ma oggi finalmente si sarebbe fatto con soddisfazione un mucchio di risate.

Ancora una volta “Il genio compreso che spiegava agli altri ciò che egli stesso non capiva”, così come detta il suo epitaffio, aveva avuto ragione.

In chiusura vorrei ricordarlo con le parole finali del suo discorso di commiato ai suoi collaboratori dopo aver dato le dimissioni dal Giornale nel 1994 alla veneranda età di 85 anni, mentre si preparava a fondare un altro quotidiano, egli disse rivolto a chi rimaneva: “…vi auguro di essere felici col nuovo assetto e di non rimpiangermi troppo. Ma, se mi rimpiangerete, mi farete un grande piacere. Addio, quindi. Anzi, arrivederci”.

Caro Montanelli, in un’epoca in cui il senso della parola Libertà sembra dipendere dai punti di vista, quanto vorrei saperlo da te, che libero lo sei sempre stato, cosa significa.

Arrivederci dunque.

Alessandro Bisozzi