Una formazione della Padania ai 'mondiali' del 2009 a Brescia

La nazionale di calcio padana è rimasta al verde. Travolta dallo scandalo della Lega, dall’allegra gestione dei finanziamenti pubblici da parte del tesoriere Belsito, la squadra del paese che non c’è rischia seriamente di chiudere i battenti. Di sicuro non parteciperà ai mondiali che si terranno tra poco più di un mese in Kurdistan, dove si disputa la quinta edizione della Coppa del Mondo 2012 Viva, il torneo per le nazioni non riconosciute (indipendentemente dal fatto che esistano o meno) e pertanto non affiliate alla FIFA. Tra i nomi spiccano Aramea, Camerun meridionale, Gozo, Kurdistan, Lapponia, Monaco, Occitania e Provenza, oltre alle due compagini italiane loro malgrado: la Padania appunto, e la nazionale del Regno delle Due Sicilie.

Che la nazionale padana non parteciperà al torneo lo spiega a ilfattoquotidiano.it Leopoldo Siegel, giornalista di Radio Padania e allenatore della squadra. “Al momento mancano i presupposti organizzativi. Ci dispiace perché, dopo aver vinto 13 partite su 13 e conquistato tre coppe ci tenevamo a difendere il titolo in Kurdistan. Ma visto quello che è successo di recente, il momento non è certo propizio”. La nazionale padana nasce a fine anni ’90, disputa due partite con l’Ausonia e poi scompare. “Gli alleati non gradivano, il Cavaliere in particolare. Arrivò una telefonata da Roma e fummo costretti a chiudere – racconta Siegel – Poi la squadra rinasce nel 2007, fortemente voluta da Renzo Bossi, che ne diventa team manager e s’impegna per farla diventare vincente“. Ad ogni costo.

Anche a costo di far pagare alla Lega le trasferte ai tifosi. E con che soldi è facile immaginarlo. Come quando la Padania andò a vincere la sua prima Coppa del Mondo. Nel 2008 in Lapponia, una spedizione costata almeno 100mila euro, tutti usciti dalle casse del partito. “Era evidente anche allora la grande disponibilità di soldi: le spese venivano rimborsate senza problemi – racconta a Repubblica Diego Gambaretto, consigliere comunale Pdl ad Albisola e unico non leghista del gruppo – Se andavi a comprare un panino, portavi lo scontrino e ti rimborsavano”. Per vincere quel primo mondiale non si badò a spese. Per la squadra ovviamente, ma anche per i dirigenti del partito e i tifosi al seguito.

Raccontano che Umberto Bossi e i due figli, Renzo e Riccardo, alloggiassero nel castello da mille e una notte di Fjalnnas, tra saune e tappeti rossi. Che ai tifosi furono rimborsati sia nove camper presi a noleggio (ognuno con un simbolo padano in bella vista), sia la benzina per coprire il viaggio di andata e ritorno da via Bellerio alle verdi lande di Gallivare (nel nord della Svezia), sia i soggiorni in campeggio e ogni spesa extra,  persino le birre. “Noi di certo non abbiamo messo mano al portafoglio – continua Siegel – Dall’aeroporto in poi per la squadra tutto è stato a spese del partito. Da dove arrivassero i soldi per gli spostamenti e per gli alloggi dei tifosi, e se ci siano state spese extra, non ne ho idea. So che tutto era gestito dalla Lega tramite Sport Padania: un ente di promozione sportiva riconosciuto e sovvenzionato dal Coni”.

Ampolle e coppe del mondo. Riti officiati per aggregare un popolo inesistente dietro un’idea che tramite lo sport cercava di farsi materia. Fasti dispendiosi per compiacere il Trota, demiurgo e alfiere di uno squadrone che al tempo della spedizione in Lapponia poteva contare anche su giocatori professionisti come Alessandro Dal Canto e i fratelli Cossato. Mentre l’anno dopo, al torneo disputato in casa tra Varese, Novara, Brescia e Verona e vinto in finale contro il Kurdistan, prese parte anche Maurizio Ganz, ex centravanti di Inter e Milan. E se Ganz ha buone parole per il Trota (“Mi faceva simpatia”), non tutti sono dello stesso avviso.

“Renzo non è mai piaciuto a nessuno – racconta Gambaretto – Erano tutti gentili con lui, ma solo per rispetto del padre. Il capo era sempre alla mano, il figlio era arrogante”. “Lo conosco da bambino, quando faceva il portiere nella mia squadra, quindi l’affetto è rimasto – continua Siegel nella sua chiacchierata con ilfattoquotidiano.it – Poi ognuno fa le sue scelte, non sempre condivisibili. Per quelle di Renzo contano le parole del padre (Umberto ndr), non sono state scelte opportune”. Anche perché il rischio è che le conseguenze di queste scelte inopportune abbiano contribuito, oltre che alla deflagrazione del partito, a mettere la parola fine alla favola della nazionale di calcio del paese che non c’è.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Morte Morosini, il calcio litiga sul recupero del turno non giocato domenica

next
Articolo Successivo

Morte Morosini, stadio di Livorno gremito per l’ultimo saluto al giocatore

next