Per tornare alla normalità la Grecia ha bisogno di due cose: in primo luogo deve diminuire il peso del debito e, in secondo luogo, deve migliorare la competitività della sua economia. Il nuovo programma affronta entrambi questi problemi.

Ridurre il debito

Alcuni Paesi sono riusciti a ridurre debiti pubblici anche consistenti facendo leva su tassi di crescita elevati e sostenuti. Ma nel caso della Grecia era chiaro che non ci si poteva aspettare in tempi brevi una crescita alta e men che mai sostenuta. Quindi il debito andava ristrutturato.

Il processo è stato lungo e tormentato. Dopo tutto un negoziato tra debitori e creditori è di rado una luna di miele. Durante il negoziato i creditori stranieri sono stati spesso insultati in Grecia e considerati i “cattivi” – ricche banche a cui si poteva e doveva assestare un bel colpo. Ma alla fin dei conti, le banche appartengono alla gente. Molte custodiscono i risparmi necessari a pagare le pensioni e i pensionati hanno visto scemare il valore della loro partecipazione nel sistema bancario.

Detto questo, l’accordo con il settore privato – la più grande riduzione di debito pubblico mai negoziata – ha ridotto il debito di ogni uomo, donna e bambino della Grecia di circa 10.000 euro, un contributo apprezzabile da parte dei risparmiatori stranieri.

Ora la Grecia deve fare la sua parte con un impegno politico di lunga durata per attuare tutta una serie di dolorose ma necessarie riforme di bilancio, finanziarie e strutturali concordate nel quadro del programma sostenuto dai partner della Grecia all’interno dell’eurozona e dal FMI. E’ senza dubbio una sfida enorme. Ma è anche una opportunità consistente nel mettere a frutto lo spazio economico creato dai creditori privati e pubblici. Ci riuscirà la Grecia?

Sistemare i conti pubblici

Anzitutto la Grecia deve ridurre ulteriormente il disavanzo di bilancio. In caso contrario si comprometterebbero i progressi compiuti sul versante del debito. Lo sforzo finora compiuto in materia di deficit di bilancio è veramente impressionante: il deficit primario è sceso dal 10% a meno del 3%. La riduzione e la ristrutturazione del debito contribuiranno a far scendere gli interessi sul debito, ma ciò non basta a colmare il buco della finanza pubblica.

La Grecia ha ancora un deficit primario e ben presto dovrà poter contare su un avanzo primario. Non c’è alternativa. La spesa inoltre va tagliata. E, sul versante delle tasse, considerate le misure durissime che debbono essere prese, gran parte del programma è incentrato sull’equità e sul far pagare il giusto anche ai più ricchi.

Ridurre l’attuale disavanzo delle partite correnti

Inoltre – cosa forse ancor più importante – la Grecia deve ridurre il deficit delle partite correnti per due distinte ragioni. Anzitutto nessun Paese può permettersi un grosso deficit delle partite correnti e continuare all’infinito a chiedere prestiti all’estero. In secondo luogo nel momento in cui l’austerity deprime la domanda interna, il solo modo per tornare alla crescita consiste nel fare più affidamento sulla domanda estera per ridurre il disavanzo delle partite correnti.

Malgrado il livello molto basso della produzione, la Grecia continua ad avere un deficit delle partite correnti prossimo al 10% del PIL. Per ridurre questo deficit non ci sono ricette segrete: un Paese deve diventare più competitivo, vendere di più all’estero e comprare meno dall’estero. Al momento la Grecia esporta appena il 14% della sua produzione. Ma di quanto la Grecia deve accrescere la sua competitività? Non è facile rispondere, ma un incremento della competitività – o una svalutazione in termini reali – del 20% sembra un obiettivo ragionevole e necessario.

Strategia per migliorare la competitività

Due sono i modi per diventare più competitivi: diventare più produttivi o ridurre i salari e gli altri costi che gravano sulla produzione. Il primo modo è di gran lunga preferibile. Ma non esiste una bacchetta magica. Dal momento che in Grecia in molti settori si registra un considerevole gap di produttività, le necessarie riforme comportano cambiamenti di normativa e comportamento non facili da realizzare. Il programma messo a punto con il governo greco cerca di individuare dove e in che modo ottenere dei progressi. La lista e lunga, ma la realizzazione difficile, i risultati incerti e, in ogni caso, non a portata di mano.

Non resta che ridurre i salari almeno fin quando aumenterà la produttività. In Paesi con tassi di cambio flessibili questo obiettivo si può ottenere con la svalutazione. In un Paese che fa parte di un’area con una moneta comune, l’obiettivo va raggiunto riducendo il valore nominale dei salari e dei prezzi. In Grecia i salari sono cresciuti più della produttività per anni contribuendo a complicare ulteriormente il problema. Il costo per unità di lavoro – che è una misura chiave della competitività – è aumentato di oltre il 35% nel periodo 2000-2010 rispetto a meno del 20% nell’eurozona. E’ una tendenza che va rovesciata.

La strada migliore sarebbe stata quella di una trattativa con le parti sociali per ridurre i salari e i prezzi ed evitare un lungo e doloroso processo di aggiustamento. Così non è stato. Il programma tenta di accelerare il processo tutelando, al contempo, i più deboli. La dura realtà è che, in un modo o nell’altro, l’aggiustamento deve avere luogo altrimenti la competitività non migliorerà, la domanda non crescerà, l’attuale deficit delle partite correnti rimarrà inalterato e altissimo rimarrà il tasso di disoccupazione. Più rapidamente si realizzerà l’aggiustamento, meno doloroso sarà.

La sola scelta possibile

C’erano alternative meno dolorose? Non credo ci fossero. Ad esempio l’idea, che spesso torna a circolare, secondo cui i grandi progetti di costruzione di infrastrutture potrebbero rilanciare la crescita, incrementare la produttività e migliorare la situazione del bilancio e delle partite correnti, è totalmente infondata. Senza dubbio i fondi strutturali di Bruxelles e, più in generale, i trasferimenti di valuta potrebbero quanto meno aiutare la domanda. Ma il problema della Grecia non è prevalentemente un problema di infrastrutture. I progetti finanziati con risorse pubbliche avrebbero ben poche conseguenze di breve periodo sulla crescita, aggraverebbero il deficit di bilancio e non farebbero che rinviare il necessario aggiustamento.

E se – come qualcuno ha suggerito – si aumentassero i salari anziché ridurli? Anche in questa maniera aumenterebbe la domanda con effetti positivi sulla crescita nel breve periodo. L’incremento di reddito disponibile potrebbe indurre i consumatori a spendere di più anche se il beneficio verrebbe in parte controbilanciato dal decremento degli investimenti. Ma l’aumento dei salari aggraverebbe il problema della competitività. Con l’aumento delle importazioni e il calo delle esportazioni crescerebbe il disavanzo delle partite correnti. In questo modo l’inevitabile aggiustamento verrebbe semplicemente ritardato e reso ancor più severo.

E se la Grecia uscisse dall’euro? L’uscita dall’euro seguita da una forte svalutazione avrebbe per effetto il declino dei salari e dei prezzi di cui la Grecia ha bisogno e consentirebbe di raggiungere questo obiettivo in tempi più rapidi. (Nota: il declino relativo di prezzi e salari non sarebbe evitato; semplicemente si verificherebbe più rapidamente). Se la Grecia avesse avuto una sua moneta questa strategia avrebbe sicuramente fatto parte del programma. Ma la Grecia fa parte dell’eurozona. E, lasciando da parte i costi assai rilevanti derivanti dal non fare più parte dell’eurozona, i problemi prodotti da un disordinato abbandono della moneta unica – dal collasso del sistema monetario e finanziario alle controversie legali in ordine ai tassi di conversione di volta in volta applicabili ai contratti – sarebbero di enorme portata.

La domanda chiave: il programma funzionerà?

La Grecia dovrà scalare un montagna alta almeno quanto quella già scalata e il successo dipenderà in larga misura dalla capacità del governo di adottare misure di attuazione forti e di lungo periodo. In tutti i programmi intervengono eventi inaspettati e non v’è  dubbio che il programma andrà rimodulato in corso d’opera. Come ha detto Christine Lagarde: “Il rischio rimane eccezionalmente alto”.

E’ verissimo. Ma è anche vero che il programma affronta con decisione i due principali problemi della Grecia: non solo il debito enorme, ma anche la bassa competitività. Ed è equo perché chiede sacrifici a tutti non solamente all’interno della Grecia ma anche ai creditori della Grecia.

Olivier Blanchard è l’ex capo economista del Fondo monetario internazionale. Questo articolo è stato pubblicato in inglese sul sito voxeu.org

Traduzione di Carlo Antonio Biscotto

Articolo Precedente

Spagna, le sofferenze dell’infinito dopo-bolla di un mercato immobiliare dopato

next
Articolo Successivo

François Morin, l’ex banchiere che consiglia a Hollande di abolire la finanza

next