Si partirà da un’affermazione: “Ci sono dei momenti in cui non ci si può rassegnare all’andazzo delle cose, alla legge del più forte: bisogna trovare il coraggio di esporsi e denunciare”. A pronunciarla è Nino Di Matteo, dal 1999 in forza alla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, e lo ha fatto dialogando con il giornalista del Fatto Quotidiano Loris Mazzetti che il 16 febbraio sarà a Bologna, alla biblioteca Ruffilli di vicolo Bolognetti, per presentare il libro realizzato con l’inquirente siciliano, “Assedio alla toga. Un magistrato tra mafia, politica e Stato” (Aliberti, 2011).

L’appuntamento, fissato per le 18.30 e che verrà riproposto il giorno successivo a partire dalle 21 ad Anzola Emilia, nella Sala Barberini della Casa del Popolo (via Goldoni 4), vedrà in entrambi i casi anche la partecipazione di Marco Imperato, pubblico ministero in forza alla procura della Repubblica di Modena ed esponente dell’Associazione nazionale magistrati. E l’argomento del doppio dibattito sarà il cuore del libro firmato da Mazzetti e Di Matteo: la necessità di combattere la mentalità mafiosa, che parte dell’omertà, ancor prima del fenomeno quando si manifesta nei suoi connotati criminali.

Di racconti a testimonianza di ciò, nel volume “Assedio alla toga” ce ne sono molti e partono dall’esperienza sul campo di Nino Di Matteo, dal 1992 al 1999 alla Dda di Caltanissetta e poi con identiche funzioni nel capoluogo siciliano. Un’esperienza che ha incrociato gli omicidi di magistrati come Rocco Chinnici, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, assassinati insieme alle loro scorte. E che ha fronteggiato l’ala militare di Cosa Nostra, quella dei corleonesi, che ha surclassato a suon di ammazzamenti quella definita “moderata” dei Badalamenti e dei Bontade, e che si è addentrata nei fiancheggiamenti alla latitanza di Bernardo Provenzano, il boss rimasto latitante per 43 anni, dal 1963 al 2006.

Il centro della discussione di Bologna e di Anzola (quest’ultima preceduta a iniziare dalle 20 da un aperitivo offerto dall’Anpi) si allegherà poi rispetto al focus puntato sulla storia della mafia (anche in terra emiliano-romagnola). E anche rispetto ai tentativi di riforma della magistratura. Si affronterà infatti il discorso pure da un punto di vista storico-politico, partendo dall’esperienza della P2 e del Piano di rinascita democratica, il “progetto d’ordine” che Licio Gelli voleva attuare in Italia e che, almeno in alcuni suoi punti, è stato molto simile alle istanze portate avanti nel ventennio scarso di berlusconismo. Inoltre si farà il punto sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, un patto occulto e non scritto in base al quale la cosa pubblica e la criminalità organizzata sarebbero scesi a patti. Patti siglati non prima della stagione stragista articolatasi tra il 1992 e il 1993 e delle rivelazioni di alcuni collaboratori di giustizia, come Gaspare Spatuzza.

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