Protestano perché dopo anni di battaglie sono ancora contrattualizzati come personale tecnico amministrativo, eppure ogni giorno insegnano le lingue a centinaia di studenti. E soprattutto, protestano perché le scelte dell’Ateneo porteranno inevitabilmente a un peggioramento del livello generale dell’insegnamento ai danni dei giovani studenti universitari di Bologna.

Sono i collaboratori esperti linguistici, che in tutti questi anni hanno preparato tantissimi ragazzi nelle lingue straniere, che occupano le cattedre della Facoltà di Lingue e del Cilta e che, stamane, si sono recati in Rettorato armati di volantini. Ovviamente tradotti in tante lingue diverse.

Sono insegnanti non riconosciuti ufficialmente come tali, “responsabili di gran parte dell’insegnamento linguistico dell’Ateneo” che progettano e tengono corsi, preparano lezioni, assistono gli studenti e fanno esami. Che hanno saputo svolgere lo stesso impiego dei colleghi “ufficiali” senza un budget, senza i fondi per i libri o per le fotocopie.

Eppure sono stati ugualmente selezionati attraverso un concorso pubblico, sono madrelingua e laureati nella lingua che insegnano, ma oggi, a causa della politica dell’Università di Bologna, rischiano di veder peggiorare, ancora una volta, le loro condizioni lavorative.

Così hanno deciso di appellarsi agli studenti, “che hanno diritto a un insegnamento linguistico di qualità”, ai docenti e agli amministrativi “consapevoli del nostro lavoro”.

“Stanno decidendo le nostre sorti senza concederci la possibilità di negoziarle” spiega Luisa Bavier, insegnante di italiano L2 al Cilta. “Introducendo la figura del Formatore Linguistico opererebbero una scelta puramente economica che ci sostituirebbe con un contratto precario non tutelato, che abbasserebbe di fatto la qualità dell’insegnamento linguistico godendo tra l’altro di una libertà didattica che noi non abbiamo, nonostante la nostra esperienza”.

Infatti la figura docente, se introdotta, sarebbe selezionata e formata dagli stessi Collaboratori ma assunta con condizioni contrattuali e competenze molto inferiori, che porterebbero a un taglio alla qualità in favore di un risparmio economico a spese del precariato.

“Questa è l’ennesima battaglia che dobbiamo combattere” denuncia Larissa, che insegna Russo “dopo l’abolizione della figura del lettore ci hanno assunti regolarmente tramite concorso pubblico per insegnare, ma ci hanno inquadrato come personale tecnico amministrativo. Ora con questo escamotage rifiutano ancora una volta di riconoscere il lavoro di insegnante che noi svolgiamo quotidianamente”.

Un lavoro che ancora oggi viene chiamato “collaborazione” invece di “insegnamento”, dove la lezione viene definita “esercitazione” e dove le 750 ore di lavoro annuali perdono di importanza.

“Noi abbiamo chiesto di poter partecipare alla definizione delle nuove condizioni del nostro regolamento, ma questa possibilità c’è stata negata” aggiunge un altro collaboratore, che insegna tedesco. “E ora ci chiedono di selezionare e formare qualcuno che insegni accanto a noi come nostro responsabile, un neolaureato assunto con requisiti inferiori e un contratto precario, che per uno stipendio più basso dovrebbe offrire un servizio che sarebbe lontano dai nostri standard”.

I corsi di lingue verrebbero così tagliati drasticamente. Se un corso di tedesco per un collaboratore linguistico dura 120 ore, gli studenti guidati da un “formatore” ne avrebbero a disposizione solo 30, quindi circa un centinaio all’anno.

Meno ore, meno tempo per imparare una nuova lingua, meno competenze per superare l’esame. Questo è il prezzo che i ragazzi pagheranno se l’Ateneo porterà fino in fondo questa nuova politica. Un prezzo che i collaboratori esperti linguistici, chiamati da tanti studenti semplicemente “Prof”, non vogliono che i loro ragazzi debbano pagare.

di Annalisa Dall’Oca

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