Tra un paio di giorni di nuovo in Afghanistan, la mia seconda casa. Non c’è un evento particolare, ma in realtà è il momento migliore per lavorare, per raccontare delle storie, per lasciarsi trasportare da un paese straordinario in piena evoluzione. A volte fa un passo avanti, e poi tre indietro, ma pur sempre in movimento.

Da poco è cominciata la transizione, gli stranieri se ne vogliono andare, gli afgani cercano di farcela, incastrati tra la velocità che gli si chiede per mettersi al pari di un qualcosa che non hanno mai avuto, e la tradizione, i vecchi modi di fare che li trascinano indietro perché voltarsi a guardare quello che si conosce è sempre più facile e rassicurante.

Ma per le strade di Kabul le cose sono cambiate: anche se lo scoppio della guerra non è stato per i giornali importante da ricordare, per gli afgani è cambiato tutto. Per gli afgani di città naturalmente, perché le campagne sono rimaste ferme in un passato che sarà sempre più forte della voglia di futuro che invece si ha in città. Con tutti i problemi del caso, dalla corruzione, alla violenza, alla guerra e alla droga.

Ma con quei germogli di cambiamento che ti colpiscono: la scuola di musica classica che ha ripreso a funzionare, la parlamentare che si candiderà alle prossime presidenziali, il primo concerto rock nei giardini di Babur, o la ragazza che lavora in banca e ottiene otto milioni di messaggini durante il programma Afghanistar (X Factor). Certo questo non significa che va tutto o andrà tutto bene. Non significa che il sangue versato in questi anni abbia trasformato il paese in un parco giochi. Ma questo paese merita di essere raccontato.

Ci sentiamo da Kabul, e buona lettura a tutti…

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