Nel 1999 il suo nome passò alla storia per aver consegnato, per la prima volta dal Dopoguerra, le chiavi di Bologna al centrodestra, incarnato allora da Giorgio Guazzaloca. Oggi, Silvia Bartolini, la donna del partitone che non riuscì a conquistare Palazzo d’Accursio, gravita ancora intorno alle stanze del potere, dalle quali non si è mai allontanata una volta per tutte. E nonostante nella memoria rimanga sempre e solo la protagonista della clamorosa sconfitta elettorale del centrosinistra, continua a vivere di politica, grazie a incarichi pubblici minori, come quello di presidente della Consulta degli emiliano romagnoli nel mondo. Un ruolo vissuto sempre nell’ombra e di certo non paragonabile a quello di sindaco, ma che oggi le consente comunque di portare a casa più di 2800 euro al mese. E di viaggiare in lungo e in largo per il globo a spese della Regione.

Romana, classe 1960, inizia l’attività politica nel Pci e la prosegue nel Pds e poi Ds. La sua prima poltrona arriva negli anni Ottanta, quando siede nel consiglio comunale e subito dopo nella giunta di Renzo Imbeni, come assessore alle Politiche Sociali e poi al Decentramento. Eletta nel ’95 consigliere regionale, quattro anni dopo sbaraglia tutti alle primarie del centrosinistra bolognese, portando a casa l’80% dei voti e lasciando a bocca asciutta Maurizio Cevenini, il verde Giorgio Celli e Giuseppe Paruolo dell’ Ulivo, i suoi tre avversari. Sembra la promessa della sinistra bolognese. La “rossa” dalla carriera fulminea: consigliere comunale a vent’anni, assessore a trenta e candidata sindaco a trentotto.

Ma al trionfo segue il tonfo. E’ la campagna elettorale più infuocata e traballante della storia bolognese, quella del 1999. La seconda con il nuovo sistema maggioritario a doppio turno per scegliere il sindaco. La Bartolini non ne azzecca una, snobba l’avversario, altezzosa, poco aperta al confronto, pensa che la città sia automaticamente ai suoi piedi, ma fa molto male i suoi conti. Guazzaloca si presenta fuori dalle fabbriche, saluta gli operai senza ricevere troppi consensi, ma nemmeno troppi mugugni; la Bartolini, invece, saluta i clienti con carrello all’entrata dell’ipermercato Centro Lame pronta a raccogliere sorrisi e in bocca al lupo, ma riceve soltanto improperi da imbestialiti pensionati.

L’ex segretario del partito Sabatini la definisce la “ragazza nervosa”, il Pds si spezza sulla sua candidatura, i veltroniani si sfilano, i centristi planano sul confortevole macellaio che nel giugno del ’99 consegna il simbolo dell’amministrazione comunista alla destra berlusconiana. Uno schiaffo sonoro mai visto da queste parti. Bartolini soccombe al ballottaggio, perdendo voti perfino tra primo e secondo turno.

La sconfitta brucia, ma non abbastanza da spingere all’abbandono del campo politico. Bartolini rimane, seppur in esilio tra i banchi della Regione, lontana dal cuore di Bologna e da Palazzo d’Accursio. È consigliere a viale Aldo Moro fino al 2005. Poi, alla fine dell’anno successivo, una legge regionale istituisce la Consulta degli emiliano romagnoli nel mondo, ossia l’organismo con il compito di promuovere attività e progetti che contribuiscano a tenere in vita la cultura locale tra le comunità residenti all’estero. Sembra l’incarico perfetto, per lei costretta “all’espiazione” ma ben poco disposta a un ritiro dalla scena. È un ruolo minore, non elettivo e parecchio remunerativo.

Così l’assemblea regionale la nomina presidente. Per lei comincia una serie di viaggi, manifestazioni, incontri e rappresentanze in giro per il mondo. Santiago del Cile, Buenos Aires, Londra alcune delle mete. Missioni istituzionali che, fino al 2009, tolgono alle casse pubbliche mediamente 35mila euro l’anno di rimborsi solo per gli hotel, i ristoranti e i biglietti aerei della presidente. Somma al quale ogni mese va ad aggiungersi un compenso pari a 2830 euro. Nessuno però ne sente la mancanza, fino a quando la terra comincia a tremare in Cile nel febbraio 2010. Da lì, con ostentata sicumera, da una stanza d’albergo di Santiago, prima di aprire un fantomatico Convegno dei giovani emiliano romagnoli all’estero, rassicura parenti, amici e compagni di partito: “Qui stiamo tutti bene”.

Ma la speranza di tornare di nuovo al centro della scena bolognese non muore. Nel 2007 il suo nome ricompare nelle cronache politiche locali. La sua partecipazione attiva al congresso provinciale dei Ds fa pensare alla fine dell’esilio. Del resto manca poco alle amministrative e nelle stanze del partito c’è da sciogliere il nodo Cofferati: ricandidatura o primarie? In questo scenario, Bartolini, assieme a una trentina di ex-amministratori bolognesi, fonda il gruppo dei Formidabili.

“La città è male amministrata”, dicono i bartoliniani che vorrebbero spodestare il sindaco sceriffo Cofferati. Ma il partitone ora a rotta fassiniana che tanto aveva cullato la rossa dal giro di perle, anche in occasioni tutt’altro che mondane, rimanda al mittente la protesta: “irricevibile”. Il partito ombra anti-Cofferati, che per diverse settimane si fa tentare dall’idea di una lista civica, a cui rispondono soltanto i cespugli di un Ulivo senza più nerbo e ossigeno, si arena in pochi mesi. Vai a spiegare alla base del partito che la “rossa” Silvia comprende gli umori e la pancia della città e che sarà lei a sfidare chissà quale peones del centro-destra. Alle primarie 2008, infatti, vince Flavio Delbono e il resto è storia nota.

Qualche mese fa la presidente della Consulta ci riprova, inviando il curriculum per sedere ai vertici di Cineteca, Fiera e Aeroporto. La sua candidatura, senza laurea in materie umanistiche o economiche (la Bartolini ha fatto tre anni di architettura), viene però scartata dai saggi nominati dal sindaco Virginio Merola. Niente da fare. La “rossa” resta in confino. Con un biglietto aereo pronto in tasca e uno stipendio da favola. Ancora seduta a capo di quella Consulta che finora, tra emolumenti e rimborsi spese approvati,  ha portato sul conto quasi 286mila euro.

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