Giovani e rappresentanza politica, come far contare di più il voto degli under 30? Il dibattito si è infiammato, un po’ off-topic, all’evento Start-Up Italia tenutosi il 4 luglio dal Partito democratico a Milano per discutere di imprenditorialità giovanile, incentivi e prospettive. Il sasso lo lancia Emil Abirascid, giornalista e animatore di StartUp Business, paragonando il peso politico delle nuove generazioni in Italia – scarso per non dire nullo – a quello nei paesi arabi come Libano, Tunisia, Giordania, dove i ventenni sono una fascia d’età numericamente – e di conseguenza politicamente e socialmente – molto più potente.

In Italia i giovani sono pochi in assoluto, a livello demografico: e quindi per farli contare di più perché non far valere di più il loro voto? Ecco la provocazione di Abirascid: «Dovremmo far valere il voto degli under 30 tre punti, e via a scendere, fino ad arrivare agli under 65: a loro solo mezzo punto. Perché hanno già dato! Già li sento» ridacchia «i sessantenni a protestare…». In realtà a sollevare le prime perplessità dalla prima fila è una quarantenne, l’ex ministro per le Politiche giovanili Giovanna Melandri, che ironizza: «La proposta sarebbe lievemente incostituzionale…».

Riccardo Luna
, direttore uscente di Wired e moderatore dell’incontro, coglie la palla al balzo per chiamare la Melandri a commentare la proposta di legge del ministro Meloni su un tema limitrofo. Un dispositivo normativo che proprio la settimana scorsa ha iniziato il suo iter in commissione Affari costituzionali, e che mira a equiparare le età di elettorato attivo e passivo. Se passasse, permetterebbe di essere eletti alla Camera a 18 anni (oggi una volta diventati maggiorenni si può votare per la Camera ma non si può essere eletti al suo interno – questo significa “elettorato passivo” – fintanto che non si è compiuto il 25esimo anno di età) e di essere eletti al Senato a 25 (oggi solo gli over 40 possono diventare senatori). Luna chiede a bruciapelo «Melandri, il Pd sostiene la proposta?», lei parla per sé e risponde «Personalmente sì, del resto è un’idea che noi abbiamo sostenuto fortemente per le amministrative. Ma prima -, aggiunge – bisognerebbe attuare riforme più urgenti, come la riduzione del numero dei parlamentari. L’età dell’elettorato non è poi così grave…». «Come no!» la interrompe Alessandro Rosina, anche lui seduto in prima fila dopo essere intervenuto nel panel precedente. «Sì che è grave e urgente, perché gli under 40 sono esclusi da un ramo del Parlamento quando però il sistema italiano è un bicameralismo perfetto!».

Il professore, 43enne autore del fortunato saggio “Non è un paese per giovani“, sottolinea che in un sistema in cui ciascuna legge dev’essere approvata da entrambi i rami del Parlamento, averne uno “anagraficamente caratterizzato” e cioè completamente privo di giovani significa offrire ad esso una sorta di potere di veto. Col rischio che qualsiasi legge innovativa e a favore dei giovani diventi di fatto “stoppabile” dal gruppo dei senatori, più inclini a conservare i privilegi delle generazioni più anziane. E aggiunge a margine: «Negli altri Paesi squilibri del genere sono considerati addirittura incostituzionali, perché un gruppo anagrafico non può essere discriminato rispetto agli altri». In effetti, parlando di incostituzionalità, far valere di più il voto di un giovane sarebbe non solo “leggermente”, ma completamente in contrasto con la nostra Carta. Ma la provocazione di Abirascid è preziosa: fare in modo che il nostro Paese torni ad essere un posto in cui le idee e le esigenze dei giovani contano è il primo imprescindibile passo per far tornare l’Italia un paese per giovani.

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