Ai ballottaggi erano rimaste in quattro, dopo il voto non ne è sopravvissuta neanche una. Piazza pulita dei sindaci donna nei capoluoghi di provincia al secondo turno: Letizia Moratti è stata sconfitta da Giuliano Pisapia a Milano, Dorina Bianchi – Udc fuori e berlusconiana dentro – si è lasciata sfuggire la poltrona di primo cittadino a Crotone. Stessa sorte, ma a colori invertiti, per Luisa Oprandi che per un soffio non è riuscita a sfondare la roccaforte leghista a Varese. Idem per Marta Testa, candidata di Sel nel comune di Iglesias.

Un voto, quello del 29 e 30 maggio, dove indubbiamente ha tirato aria di cambiamento, ma nemmeno un alito di vento è soffiato su un dato di fatto: i municipi italiani restano allergici al rosa. Se rimane qualche dubbio, basta fare un passo indietro e dare uno sguardo agli eletti al primo turno, per accorgersi che la situazione è altrettanto desolante: su 1.184 sindaci, solo 118 eletti sono donne, ovvero meno del 10 percento del totale (i dati sono riportati sul sito Ingenere.it ed elaborati da Openparlamento). Lungo la Penisola affaccendata nel rinnovo dei suoi primi cittadini, nove comuni su dieci erano rappresentati da un uomo. Numeri fuori gara rispetto alla media europea e, neanche a dirlo, lontani anni luce dai Paesi scandinavi.

La politica è un affare da maschi? In Italia di sicuro sì, dal consiglio di quartiere a quello dei Ministri, le istituzioni sono monopolio degli uomini. Altro che pari opportunità, quote rosa e sparate da campagna elettorale sulla parità di genere: tra la presenza maschile e quella femminile ai vertici delle amministrazioni locali c’è un abisso. Che non accenna a rimarginarsi. La percentuale di donne sindaco uscenti nei comuni dove si è votato (quindi prima del 15 maggio) era dell’8,8%, 103 su 1.165. Con quest’ultima tornata elettorale, quindi, c’è stato sì un lieve miglioramento, ma non certo un balzo da capogiro.

D’altra parte, questi risultati non sono un fulmine a ciel sereno: basta guardare ai numeri di partenza. Dei quasi 4.000 candidati in corsa per la poltrona da sindaco il 15 e 16 maggio, solo 557 erano donne, un misero 14% del totale (dati Anci). La maglia nera del machismo municipale se l’è guadagnata la Campania, con 30 donne in corsa (7%) contro i 385 candidati maschi. Ma anche nelle Marche, la regione più virtuosa d’Italia in quanto a democrazia di genere, la percentuale di candidate non ha raggiunto il 20 percento: per i 29 comuni in rinnovo di cariche, hanno corso 77 candidati sindaco di cui 62 uomini. Senza contare le elezioni in cui delle donne non si è vista nemmeno l’ombra: sono state più di 800 le sfide disputate esclusivamente da aspiranti primi cittadini del sesso forte, in perfetta par condicio dal Nord al Sud della Penisola. Tra queste, ben 8 hanno riguardato capoluoghi di provincia: Trieste, Pordenone, Latina, Benevento, Napoli, Catanzaro, Reggio Calabria e Carbonia.

Tuttavia, dei barlumi di buona speranza ci sono e si chiamano Mompantero (To), Ono San Pietro (Bs), Borgo San Siro (Pv), Bolognola (Mc), Marta (Vt) e Secinaro (Aq). Qui la corsa al posto di sindaco è stata rigorosamente al femminile. Un segnale, seppur timido o timidissimo, che conta meno dello 0,5 percento sul totale dei 1315 comuni andati al voto. Alla luce di tutto questo viene da augurarsi che se il vento del cambiamento soffia davvero, riesca a farlo senza distinzioni di genere.

di Natascia Gargano e Lorenzo Bordoni – FpS Media

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