Dalla Cina alla Malesia, l’aumento della ricchezza nei paesi dell’area asiatico-pacifica si accompagna allo sviluppo insostenibile del consumo di droghe sintetiche.

Ne è convinta l’Unodc, l’agenzia delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine che nei giorni scorsi ha pubblicato la sua relazione annuale sullo stato dell’arte del consumo di sostanze stupefacenti.

I risultati pubblicati dall’agenzia dell’Onu mostrano come l’aumento della ricchezza relativa nei paesi dell’est asiatico e del Pacifico, unito alla necessità di lavorare su turni massacranti, abbiano generato la diffusione di sostanze sintetiche e la moltiplicazione dei laboratori artigianali dove vengono prodotte.

Un incremento vertiginoso di amphetamine-type-stimulants o Ats, sostanze di laboratorio che causano allucinazioni e danni cerebrali permanenti, tra cui l’ecstasy, in aumento dal 2004, e la ketamina, potente anestetico veterinario cresciuto del 9% solo nel 2009. Quantità massicce su tutto il continente che hanno prodotto l’anno scorso un giro d’affari illecito per 63 miliardi di dollari.

Il principale centro di fabbricazione è la Birmania, dove solo nel 2009 sono stati sequestrati 24 milioni di pillole, una quantità risibile rispetto al numero di laboratori di produzione sequestrati. Secondo la ricerca, il fenomeno Ats riguarda tutti i 15 paesi esaminati nel dossier.

Con la globalizzazione, inclusa quella della criminalità organizzata iraniana e dell’Africa occidentale, la produzione di sostanze da laboratorio non dipende più dalle grandi coltivazioni di oppio o dal clima: è facile ottenerla, è possibile fabbricarne anche in casa, e altrettanto semplice piazzarla sul mercato dove la domanda non subisce battute di arresto.

Lo studio sottolinea come alla diffusa tendenza al consumo non corrisponda però un miglioramento delle strutture sanitarie contro le dipendenze. E il futuro non promette bene: oltre agli Ats è stato lanciato l’allarme sull’inalazione di solventi da parte dei giovani, che avrà effetti devastanti sul lungo periodo.

Difficile stabilire connessioni dirette e incontrovertibili tra l’andamento economico di un paese e il consumo di droghe dei suoi cittadini.

Tuttavia, se nei paesi asiatici e nell’area del pacifico, il fenomeno Ats è ormai mainstream, nemmeno l’Europa è immune dalle conseguenze di uno sviluppo accelerato. Uno stress che i cittadini del Vecchio continente compensano con un uso massiccio di cocaina. Dalla Relazione annuale 2010 dell’Agenzia europea delle droghe (Oedt) infatti emerge che quasi 14 milioni di cittadini europei fra i 15 e i 64 anni abbiano provato la polvere bianca. E se in Italia l’uso tra chi ha tra i 15 e i 34 anni è del 2,9%, nel Regno Unito raggiunge il picco del 6,2 (dati 2008).

Secondo il direttore dell’Oedt, Wolfgang Gotz “troppi europei considerano ancora il consumo di cocaina come un accessorio relativamente innocuo di uno stile di vita di successo”.

Droghe a cui si aggiunge la dipendenza da produttività e successo, e che possono incidere in maniera drammatica sul piano economico. Pensiamo alla crisi mondiale e al suo effetto domino: non è stata “provata nessuna relazione scientifica diretta” con il crollo del sistema finanziario, ha spiegato all’inizio del 2009 Silvio Garattini, direttore dell’istituto farmacologico Mario Negri di Milano, ma il consumo di cocaina negli ambienti finanziari ha contribuito a sviluppare in senso del rischio e della spregiudicatezza, riducendo il senso di responsabilità.

Di fatto è la droga più utilizzata nel mondo degli affari e soltanto a Milano, da quanto è emerso dall’indagine dell’istituto, ne verrebbero consumate 12mila dosi al giorno. Ma il fenomeno si estende anche oltre la Lombardia. Infatti Raimondo Pavarin, responsabile dell’Osservatorio epidemiologico dipendenze dell’Asl di Bologna ha aggiunto che da uno studio “condotto in 40 città su un campione di 20 mila persone, è emerso che chi assume coca da almeno cinque anni guadagna più di 2 mila euro netti al mese”. E se il profilo medio rientra tra i quadri aziendali, amministratori delegati esclusi, il fenomeno non si ferma lì e si estende anche ai lavoratori. Diventa un modo per rispondere ai ritmi di lavoro, allo stress, per superare la frenesia della postmodernità, fino a riguardare anche autisti e mulettisti. Ad esempio, come riferisce il dipartimento delle Dipendenze dell’Ulss 20 di Verona, l’1,7 degli operai veneti farebbero uso di sostanze stupefacenti. E se all’inizio “si prova” per ottenere risultati più performanti sul lavoro, successivamente il percorso si inverte e si aumentano le ore di lavoro per potersela procurare.

Spesso soltanto per fronteggiare ritmi non più naturali, per appagare la produttività meccanica richiesta dal mercato, che spinge sempre oltre il limite delle ore di lavoro. Dall’Asia sintetica all’Europa della “bamba”.

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