“C’è qualcosa di peggio che vedersi rubare la felicità? È quello che mi è successo mentre provavo a fare il mio lavoro di ricercatore”. Con lucidità e passione Nicola Gardini ritorna sull’odissea che lo ha portato dall’Università di Palermo fino a Oxford, dove dal 2007 è professore di Letterature comparate. “È lì che mi sono ripreso quello che mi era stato tolto”. Ispirandosi alla sua esperienza, l’anno scorso Gardini ha scritto I baroni. Come e perché sono fuggito dall’università italiana (Feltrinelli), un libro ricco di divagazioni saggistiche sulla letteratura e sul senso dell’insegnamento, in cui in prima persona racconta come abbia provato a fare il suo lavoro, scontrandosi con le beghe dipartimentali e la “politica”. Gardini ha deciso di denunciare le scorrettezze di cui è stato vittima anche per aiutare i tanti che sono nell’ombra, “assuefatti a tal punto al sistema – dice – che neppure si scandalizzano più”.

Negli atenei italiani le capacità personali sono spesso mortificate? È quello che è capitato anche a lei?

“Ho sperimentato questa cosa sulla mia pelle. Nel ’99, dopo avere ottenuto un dottorato alla New York University e un posto di ruolo per l’insegnamento del latino e del greco nei licei, decido di provare un concorso universitario in Italia. E lo vinco a Palermo, ma subito cominciano i guai: non sono per nulla accettato. Iniziano ad arrivarmi mail notturne che mi avvertono di compiti da svolgere la mattina dopo, vengo fatto scendere apposta da Milano per riunioni fantasma”.

Eppure lei aveva vinto un concorso…

“Sì, ma ci sono quei professori chiamati “baroni”, che pensano di poter gestire l’università come una loro proprietà. A un certo punto mi sono reso conto che avevo vinto il posto perché qualcuno aveva fatto uno sgarbo al direttore del dipartimento. Al concorso doveva passare la sua favorita, ma da Milano è intervenuto qualcuno di ben più potente, che ne I baroni chiamo Corona”.

E lei ha lottato dall’interno o è scappato?

“Ho continuo a fare il mio lavoro pur nelle difficoltà. Nel 2004 vinco un’idoneità come associato a Salerno. L’idoneità non è un posto, ma una sorta di titolo abilitante: di solito l’idoneato viene chiamato dallo stesso ateneo dove è già in servizio. Ma nel mio caso non succede: a Palermo continuano a non volermi. Accetto di tenere corsi presso un piccolo ateneo privato, che ha sede a Feltre. L’invito mi è fatto dallo stesso Corona che mi ha imposto a Palermo. E mi illudo che a Feltre spenderò la mia idoneità”.

Invece?

“Corona mette al mio posto l’amica di un suo amico. Io mi muovo verso soluzioni alternative. La nuova sede sembra Padova. Anche lì promesse, carezze. Ma alla fine, il bidone”.

È allora che fugge a Oxford?

“È stata una fortuna: quell’estate pubblicano un bando per un posto da italianista. Mando la domanda e meno di due mesi dopo vengo convocato per il colloquio e la lezione di prova. L’indomani mi offrono il posto. Qui sono rinato. Da poco ho pure scritto un altro libro, Rinascimento: non è il seguito della mia storia, ma di sicuro il primo frutto della felicità ritrovata”.

Dall’Italia che hanno detto?

“Ho ricevuto moltissime email di lettori che si riconoscevano nei miei racconti e mi ringraziavano. Ma qualche malevolo mi ha scritto: “Bravo Gardini, si fa presto a parlare dal suo esilio dorato”. Che posso dire? Io ho fatto di tutto per restare in Italia, sette anni lo dimostrano”.

E chi è rimasto nell’università italiana?

“I giovani dentro gli atenei a volte sono come narcotizzati: non vedono il marcio o fanno finta di non vederlo e quindi non protestano. Mi sono però accorto che raccontando la mia storia ho raccontato la storia di una collettività insoddisfatta e stanca di ingiustizie”.

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