L’intimidazione contro la libertà di espressione tramite l’uso della querela non è una prerogativa solo di Silvio Berlusconi ma di buona parte di quelli che gli stanno vicino. C’è un detto popolare, Chi va con lo zoppo impara a zoppicare, che ricorda molto la vicenda del consigliere di amministrazione Rai Angelo Maria Petroni, uno che non potendo fare le leggi come il suo amico premier usa la querela a mo’ di bavaglio. Questa volta, però, gli è andata male perché il magistrato, deputato alle indagini, ne ha chiesto l’archiviazione.

Scusate se per un momento parliamo un po’ di noi. Il fatto riguarda Antonio Padellaro, allora direttore dell’Unità, e il sottoscritto.

Il 4 maggio 2008 scrissi un articolo per il giornale di Padellaro dal titolo: Se Claudio Petruccioli salva Saccà e butta il codice etico della Rai.

Il Fatto. Il direttore generale Cappon aveva portato in cda la relazione della Commissione Etica Rai dove risultava che Agostino Saccà (intercettazioni telefoniche con Berlusconi, attrici da piazzare, senatori del centrosinistra da comprare, ipotesi di nascita di società di produzione di fiction con lo stesso proprietario di Mediaset, ecc.) aveva violato una ventina di punti del codice aziendale (correttezza in caso di conflitti di interessi, criteri di condotta negli affari, rapporti con i fornitori, obbligo alla riservatezza, rapporti istituzionali, imparzialità, tutela del capitale sociale dei creditori e del mercato, ecc.), nonostante ciò il consiglio invece di accettare la richiesta del dg, che chiedeva di rimuovere Saccà dal suo incarico di direttore di RaiFiction, decise di aspettare le valutazioni del procuratore di Napoli che indagava su Saccà e Berlusconi e che avrebbe dovuto pronunciarsi a breve sul rinviare o meno a giudizio i due (per la cronaca la vicenda dalla Procura di Napoli passò a Roma poi il tutto fu archiviato). Erano trascorsi ben cinque mesi dalla pubblicazione delle famose intercettazioni telefoniche, io scrissi che I consiglieri Staderini, Petroni ed altri hanno tenuto un comportamento non da amministratori ma da politici, dimostrando, se ce ne era bisogno, che rappresentano interessi di terzi e non dell’azienda. La risposta al caso Saccà andava ricercata nel codice etico, che ogni dipendente dovrebbe avere non nel cassetto della propria scrivania ma dentro di sé. Il consigliere Angelo Maria Petroni, il cui mandato non è parlamentare ma in rappresentanza del ministro dell’Economia, cioè di parte per intenderci, si è sentito diffamato nell’onore e nella reputazione perché il professore, titolare di una cattedra presso l’Università La Sapienza di Roma non ha mai militato in un partito.

Come dire: svolge attività politica solo chi ha una tessera in tasca, mentre Petroni no, nonostante sia stato: responsabile per Forza Italia per le politiche istituzionali, direttore della Pubblica Amministrazione con decreto presidenziale su proposta del governo Berlusconi; sia tuttora consigliere di amministrazione della Rai sempre nominato da ministri appartenenti al governo Berlusconi e rinviato a giudizio con imputazione di abuso di ufficio per aver votato la nomina di Alfredo Meocci a direttore generale della Rai, voluto dal governo Berlusconi, nonostante l’incompatibilità per legge che poi ha obbligato lo stesso Meocci alle dimissioni e all’azienda ad una ammenda di 15 milioni di euro, inoltre difensore in più occasioni di Agostino Saccà che a suo tempo aveva dichiarato alla stampa di votare insieme a tutta la famiglia per Forza Italia (quest’ultimo fatto forse appartiene solo alla sfera dell’amicizia, come dimostrano le intercettazioni telefoniche pubblicate dall’Espresso dove risulta che Petroni raccomanda al direttore di RaiFiction una certa attrice).

Contemporaneamente alla decisione del cda a favore di Saccà, un altro consigliere di amministrazione, Carlo Rognoni, chiese pubblicamente che fine avrebbe fatto il codice etico e io nell’articolo gli risposi: il codice etico verrà buttato nel cesso e non dobbiamo lamentarci se certi comportamenti si moltiplicheranno, poi aggiunsi: In questi mesi il pensiero ricorrente in Rai è stato quello legato alla vittoria elettorale o meno di Berlusconi: se vince il Cavaliere, Saccà tornerà potentissimo, altroché l’editto bulgaro. In una qualsiasi azienda privata sarebbe accaduto tutto questo? O la decisione sarebbe stata rapida e privata cioè lontana dalle ribalte mediatiche? Nella vicenda chi ci perde è la Rai, perché ancora una volta l’immagine dell’azienda ne esce infangata.

A questo proposito vorrei ricordare cosa sta accadendo in questi giorni: Berlusconi querela la Repubblica e l’Unità, in Rai al posto della censura diretta, come avvenne con l’editto bulgaro, si usa la lentezza della burocrazia, non si firmano i contratti delle trasmissioni a ridosso della messa in onda (AnnoZero di Santoro, Che tempo che fa di Fazio, Parla con me della Dandini, ecc.), si toglie la protezione legale a Report di Milena Gabanelli, nell’attesa che arrivi un altro direttore a Raitre al posto di Paolo Ruffini, che forse deciderà di fare un altro palinsesto, esempio: il ritorno del piduista Maurizio Costanzo

Torniamo alle nostre piccole beghe. Sicuramente il consigliere Petroni, che ritiene che Padellaro e il sottoscritto non abbiamo, utilizzando toni esasperati, esercitato il diritto di cronaca e/o il diritto di critica poiché l’articolo si fonda su un dato di fatto del tutto falso e fantasioso, farà ricorso contro la richiesta di archiviazione del magistrato. Nel frattempo: libertà uno – bavaglio zero, palla al centro.

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