L’Italia è il primo Paese al mondo ad aver riconosciuto l’obesità come una malattia cronica, progressiva e recidivante. Una svolta culturale e scientifica che tenta di porre fine, almeno sulla carta, a decenni di stigma e sottovalutazione. La nuova legge prevede un Osservatorio nazionale, percorsi di cura e formazione obbligatoria per medici e pediatri. Ma i fondi sono scarsi –appena 700mila euro nel 2025 –e permangono alcune contraddizioni. La più evidente riguarda la sugar tax, prevista dal 2019 e mai entrata in vigore: rinviata per la settima volta, nonostante l’Oms la consideri uno degli strumenti più efficaci per ridurre diabete e obesità. Eppure l’Italia continua a rimandare, tra pressioni delle lobby e timori per l’industria, mentre altri Paesi tassano le bibite zuccherate e reinvestono i proventi in salute pubblica.
FRANCIA. Campagne kids e no agli influencer per il cibo-spazzatura
“Per la vostra salute, mangiate almeno cinque frutti e verdure al giorno”. Dal 2004, ogni spot televisivo che promuove il consumo di cibi non salutari deve obbligatoriamente includere un messaggio di salute pubblica come questo. E non è l’unica norma che rende la Francia uno dei Paesi all’avanguardia in Europa nella lotta all’obesità infantile. Sulle reti pubbliche e su quelle tematiche per bambini, infatti, è vietato il marketing di alimenti con scarso valore nutritivo, ricchi di zuccheri, grassi o sale. Il principio è: i minori sono un target vulnerabile e quindi vanno protetti. Per questo Parigi ha deciso di adeguare la normativa anche al mondo digitale ed evitare che i più piccoli vengano bombardati online da contenuti promozionali personalizzati. Dal 2022, il codice dell’Autorité de régulation professionnelle de la publicité vieta espressamente la profilazione dei minori, l’uso di influencer e la pubblicità mirata per il cibo spazzatura online.
SPAGNA. Famiglie a basso reddito: sovrappeso il 50% dei bimbi
Tra i figli delle famiglie con redditi sotto i 18mila euro l’anno, quasi uno su due (46,7%) è in sovrappeso, contro il 29,2% di chi vive in famiglie sopra i 30mila. La nuova legge sui menù scolastici punta a spezzare questo legame tra povertà e obesità. Tutte le scuole, pubbliche e private, dovranno servire frutta e verdura ogni giorno, pesce almeno una volta a settimana, piatti vegetariani e vegani, e vietare bevande con più del 5% di zuccheri. Pizze e torte industriali, non preparate nella cucina della scuola, potranno essere servite solo una volta al mese. Il 45% dei prodotti dovrà essere di stagione e locale, con una quota bio del 5%. Inoltre, le cucine scolastiche dovranno cuocere i fritti solo in olio d’oliva o di girasole. L’obiettivo, nelle parole del ministro per le Politiche sociali, Pablo Bustinduy, è ridurre le disuguaglianze. Una piccola rivoluzione che parte dalla tavola dei bambini: per far sì che ogni studente, indipendentemente dal reddito familiare, abbia accesso a un pasto sano e nutriente.
FINLANDIA. L’esperimento-Carelia e poi i reality sulle diete
Negli anni ’70, in Carelia settentrionale, regione di foreste e laghi al confine con la Russia, gli uomini di mezza età morivano di infarto più che in qualunque altro posto al mondo. Nel 1972 il governo finlandese affidò a un giovane medico, Pekka Puska, la missione di invertire quella tendenza. Nacque così il Progetto Carelia Settentrionale, una delle più ambiziose campagne di salute pubblica mai realizzate. In pochi decenni, riuscì a ridurre dell’80% la mortalità cardiovascolare e l’aspettativa di vita aumentò di sette anni. Gli interventi chiave furono semplici ma rivoluzionari: meno grassi saturi, meno sale, più verdure e frutta locale, insieme a una forte riduzione del tabacco. Le famiglie impararono a cucinare piatti tradizionali con meno burro e più olio di colza. E le scuole coinvolsero gli studenti in programmi dedicati alla salute. Persino la televisione contribuì, con programmi in stile reality che seguivano i partecipanti a dieta, misurando colesterolo e pressione.
MESSICO. Raddoppia l’imposta sulle bevande zuccherate
Nel Paese dove quasi tre adulti su quattro sono in sovrappeso, la battaglia contro lo zucchero è cominciata più di dieci anni fa. Nel 2014 il Messico è stato tra i primi al mondo a introdurre una tassa del 10% sulle bevande zuccherate, riuscendo a ridurne il consumo di quasi il 10%, soprattutto tra le famiglie più povere. Ha imposto etichette di avvertimento sui prodotti (“eccesso di zuccheri, calorie o grassi”) e vietato il cibo spazzatura nelle scuole: oggi nove messicani su dieci sanno che le bibite fanno male. Nonostante questo, però, quasi la metà le beve almeno una volta a settimana. Per questo il governo ha deciso di rilanciare con un nuovo aumento dell’imposta per il 2026: salirà da 1,64 a 3,08 pesos al litro, con l’obiettivo di generare 41 miliardi di pesos – 2 miliardi di euro – da destinare alla sanità pubblica. L’idea è “incentivare abitudini più sane e compensare i costi delle malattie croniche”, in una politica “umanistica, non basata sulle entrate”.
CILE. L’alert dell’etichetta con l’ottagono nero, ma c’è l’escamotage
Un’etichetta ottagonale nera sulla parte anteriore delle confezioni, con una scritta bianca che avverte come quel prodotto alimentare abbia un alto contenuto di zuccheri, sale o grassi. È il metodo usato dal Cile, diventato poi benchmark internazionale, per far sì che la popolazione mangi in modo più sano. Nel 2016, è stato il primo Paese a introdurre una legge sulle etichette nutrizionali. Oltre all’ottagono nero, per proteggere i più giovani, le mascotte sono sparite dagli snack e nelle scuole non è più possibile acquistare bibite zuccherate. Con l’introduzione della legge, il consumo di queste bevande è crollato del 25%. Per evitare le etichette di avvertenza, c’è chi ha effettivamente riformulato i prodotti per renderli più salutari. Altre aziende, invece, hanno sostituito lo zucchero con un uso massiccio di dolcificanti non calorici. Fatta la legge, trovato l’inganno.
BRASILE. A scuola lotta ai cibi ultra-processati
Stop ai cibi industriali. Nelle mense scolastiche brasiliane tornano i piatti della tradizione: cuscuz con verdure e fagioli freschi, frutta di stagione e dolci tipici, come la canjica, al posto di biscotti e snack confezionati. È il nuovo Programma nazionale di alimentazione scolastica (Pnae), che nel 2025 ridurrà la quota massima di alimenti ultra-processati nei menù delle scuole pubbliche, dal 20% al 15%, per scendere al 10% nel 2026. Finanziato con 5,5 miliardi di real (circa un miliardo di euro), il programma è uno dei più estesi al mondo: raggiunge 40 milioni di studenti in oltre 150mila scuole, distribuite nei 5.570 comuni del Paese, e serve 10 miliardi di pasti l’anno. La misura si è resa necessaria visti i dati raccolti dal ministero della Salute: un bambino su sette sotto i cinque anni è sovrappeso o obeso (14,2%, più del doppio della media globale), percentuale che sale al 33% tra gli adolescenti.
GIAPPONE. La legge “Metabo”: solo il 5% di obesi
Meno del 5% della popolazione è obeso. Tra i Paesi più industrializzati è nettamente quello con il tasso di obesità più basso. Per fare un confronto tra i membri del G7, al secondo posto c’è l’Italia, intorno all’11%. La classifica la dominano (in negativo) gli Stati Uniti, che superano il 40%. Gli altri Paesi si attestano in media al 22,5%. A contribuire al raggiungimento di questo importante risultato nipponico è anche la controversa legge “Metabo”: una volta all’anno, ogni azienda e governo locale in Giappone deve accogliere un team di infermieri e medici che misurino il girovita dei dipendenti di età compresa tra 40 e 74 anni. Se le misurazioni superano una certa soglia, la persona viene indirizzata a un consulto psicologico e le aziende devono elaborare dei piani sanitari con il lavoratore, per far sì che perda peso. Le società che hanno dipendenti in sovrappeso possono incorrere in multe.
CINA. Emergenza grasso: cliniche ad hoc e fitness urbano
In poco più di vent’anni, la percentuale di adulti obesi in Cina è passata dal 3,1% al 16,4%. Un rapporto del Centro nazionale per la salute ha rivelato che nel 2020 il 50,7% della popolazione adulta era in sovrappeso. Il governo teme che entro il 2030, sette cinesi su dieci possano essere in questa condizione, compreso il 31,8% dei bambini. La risposta è stata una campagna triennale fondata sul principio per cui la salute non è solo una scelta individuale, ma un dovere collettivo. Dunque: dall’istituzione di cliniche per la gestione del peso negli ospedali, all’introduzione di menù più sani nelle mense. Dalla creazione di percorsi di fitness urbani, fino al coinvolgimento di campioni olimpici nelle campagne social. E il settore privato agisce in sinergia con lo Stato. Molte aziende, in particolare i grandi conglomerati statali e le tech company, stanno introducendo politiche per incentivare stili di vita sani, come palestre aziendali e bonus benessere.
AUSTRALIA. La app sulle linee guida e “Live Lighter”
Ha un tasso di obesità del 32%, tra i più alti al mondo. Il peso economico, oltreché umano, di questo dato è molto importante: il costo totale di sovrappeso e obesità in Australia è di oltre 23 miliardi di euro, circa il 2% del Pil. Per rispondere a questa emergenza, il Paese ha costruito una rete di programmi che combinano educazione alimentare e strumenti digitali. Tra questi, Shape Up Australia e Live Lighter, campagne che offrono guide e risorse per aiutare le persone a mangiare meglio e muoversi di più: per esempio un’app che propone un piano alimentare di 12 settimane basato sulle linee guida nazionali, o i tracker per monitorare peso e attività fisica, fino al ricettario Eat for Health. Si è intervenuti anche sul sistema di etichettatura Health Star Rating, che valuta i prodotti confezionati in base al loro profilo nutrizionale, assegnandogli un voto: da mezza a cinque stelle. Consente ai cittadini di confrontare a colpo d’occhio le alternative sugli scaffali. Più stelle, più salute.