L’evoluzione della specie: una volta, al bar, eravamo tutti ct della Nazionale di calcio; ora, su Substack, siamo tutti critici d’arte, ma anche di televisione, cinema, musica, teatro, letteratura… col risultato che la critica – quella seria, professionista e competente – sta morendo. Ecco solo alcuni, eloquenti esempi: l’Associated Press annuncia la fine delle rassegne di libri; il Chicago Tribune e il Washington Post congedano le firme cinematografiche; il New York Times sposta (demansiona?) ad altri incarichi quattro commentatori culturali di punta; Vanity Fair sta mollando le classiche recensioni e persino la webzine Pitchfork (quindi non il tipico magazine cartaceo) è finita cannibalizzata, se non silenziata, nel colosso editoriale di Condé Nast. Pure in Italia, le storiche pagine di quotidiani e riviste dedicate a film, romanzi e spettacoli si stanno assottigliando a favore di presentazioni a scatola chiusa, interviste ammiccanti, anticipazioni di stralci e strappetti innocui. O almeno privi di interesse intellettuale, figuriamoci giornalistico…
Addio sale e pepe in menù, piccante e amaro banditi: meglio gli omogeneizzati per i palati sensibili e delicati di oggi, che alla sola parola “stroncatura” scatenano una reazione allergica o almeno una shitstorm online. Ma addio anche ai vecchi criticoni à la Anton Ego che “prosperano grazie alle recensioni negative, che sono uno spasso da scrivere e da leggere”. E quindi, in definitiva, addio a chi legge: scrollare, pare, nuoce meno alla salute.