L'editoriale colto 95
di Paolo Soraci

E io, brigante, vi dico: attenti ai galantuomini, che tutto corrompono

Bei tempi, quelli del Romanticismo. Quando un prete scrittore incendiato d’amor patrio, all’indomani di Porta Pia, può ancora scrivere un dramma in cinque atti con protagonista un capobrigante, Antonello, che si redime e si fa risorgimentale dopo aver assistito alla disfatta e al martirio dei fratelli Bandiera, sbarcati a Crotone nel 1844, traditi, sgominati, e prontamente fucilati nel Vallone di Rovito, subito fuori Cosenza.

Vincenzo Padula ambienta per l’appunto la vicenda di Antonello nello stesso anno dell’infelice spedizione. Nel dramma c’è tutta un’intricata vicenda di turpi possidenti, borbonici e corrotti, braccianti oppressi e umiliati, mogli di braccianti violate e bimbi uccisi. Con seguito di rapimenti e omicidi a scopo di vendetta, prese di coscienza tardive, trattative stato-briganti con tradimento finale, fucilazioni e impiccagioni per tutti. I monologhi di Antonello, messi in mano a Bertolt Brecht o al Peter Weiss di Notte con ospiti, per non dire dell’Enzensberger giovane e ancora estremista, brillerebbero di dialettica neomarxista: è più criminale il brigante con lo schioppo o il borghese con il capitale e gli apparati repressivi?

Il povero Padula, di suo, fa quel che può, con i mezzi che ha. Ne esce una beatificazione dei briganti, che tendenzialmente, nel 1860 e rotti, sparavano sui carabinieri sabaudi e semmai vaneggiavano sul ritorno dei Borboni. In attesa di passare alle ’ndrine e procedere, loro sì con bella torsione dialettica, alla sintesi di schioppo e capitale, sottopotere statale e contropotere criminale.

Da Antonello, capobrigante calabrese

Signore, vi han detto che Antonello abbia commesso mille omicidii, e mille furti, e non è vero. Un sol nemico io mi ebbi, e lo spensi; né, facendo il brigante, la mia borsa n’è divenuta più pesa. Ah! io ho ucciso per gli altri, io ho rubato per gli altri. Gira un po’ la Calabria, e in ogni terra e villaggio troverai uno, o due galantuomini, la cui vita è un delitto, la cui rapida fortuna è un arcano. La loro prepotenza crea i briganti, la loro avarizia li sostiene. Costoro che, cittadino onesto, mi avrebbero calpestato, brigante mi hanno protetto. Ho cenato, ho dormito con loro; e per essi ho ucciso, per essi ho rubato. Di està percorrea la campagna, d’inverno mi recava in città nelle case migliori: colà buona tavola, colà buono letto, colà la mia druda; e, venendovi per motivo di visita qualche generale, o colonnello, o altri, io dalla stanza dove mi stava appiattato ne sentivo i discorsi, e gli sciocchi disegni che meditavano per avermi in mano. Ad aprile ne uscivo, e col primo sequestro pagavo l’ospitalità ricevuta. (…) Io?… io rubo e scanno per vivere, e vivo per vivere. Sarò dunque un bruto? Sarà la mia vita un buffo di vento, che vada e venga cosí a caso? Ahimé! restando qui, l’un dí o l’altro mi toccherebbe a morire. Morrei combattendo, gli è certo; morrei dopo avere ucciso tanti gendarmi quante ho cartucce, è certissimo; si direbbe: Antonello si è difeso come un leone; ma si aggiungerebbe: Fu morto, e gli sta il dovere. Oh! questo pensiero mi tormenta. Voglio che la mia morte sia ingiusta, voglio morire incolpevole, e che mentre a me genuflesso i gendarmi conficcano due palle in petto, la mia coscienza e quella degli spettatori possa dire: Si uccide un innocente. A chi abusa dell’ingegno, frodando ed ingannando, i tribunali serbano il carcere. A chi abusa della forza, battendo ed uccidendo, i tribunali serbano la galera; ed a chi abusa del denaro qual pena si dà? Nessuna. Col tuo detestabile metallo tu hai corrotto il paese, mercanteggiato i santi affetti dei padri, speculato sulla miseria, seminato lo scandalo, renduto invidiabile il vizio, e rispettabile la forza. Oh! qual altro popolo è naturato al bene piú del calabrese? Ha ingegno e cuore, ma è corrivo al sangue, perché non trovando giustizia se la fa col suo moschetto; ma è ladro e brigante, perché alcuni prepotenti tuoi pari gli stanno in ogni paese col piede sul collo. Or tu hai abusato dell’oro, ed io te ne privo, come si priva dei denti il lupo, e del veleno la vipera.

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