Per alcuni è la nuova stella dei democratici. Per i suoi detrattori – anche del suo stesso partito – invece è solo l’ennesimo “radicale” tutto Gaza, immigrati e dàgli ai ricchi. Trump – direttamente – minaccia di arrestarlo. Di certo c’è che Zohran Mamdani – musulmano, nato in Uganda ma newyorkese in tutto e per tutto – ha vinto le primarie dem per la carica di sindaco della Grande Mela ed ora è in corsa per le elezioni di novembre. Al centro del suo programma – lo spiega in questa intervista al settimanale “The Nation” che qui pubblichiamo – un’idea semplice: far sì che la maggioranza dei newyorkesi continuino a vivere a New York. Cioè che possano permetterselo. Quindi: blocco degli affitti, bus gratuiti e assistenza all’infanzia da una parte, innalzamento dell’aliquota massima sulle società e aumento del 2 per cento dell’imposta sul reddito delle persone più ricche dall’altra. Ancora: lottare per i lavoratori e niente scuse. E soprattutto: difendere le proprie convinzioni senza imbarazzi o retromarce al primo pigolio di dissenso.
Nel suo discorso di vittoria la sera delle primarie, lei ha citato Franklin Delano Roosevelt, dicendo: “Come disse FDR, ‘La democrazia è scomparsa in molte altre grandi nazioni, non perché il popolo non ami la democrazia, ma perché si è stancato della disoccupazione e dell’insicurezza, di vedere i propri figli affamati mentre loro rimanevano impotenti di fronte alla confusione e alla debolezza del governo. Nella disperazione, hanno scelto di sacrificare la libertà nella speranza di ottenere qualcosa da mangiare’. New York, se c’è una cosa che abbiamo chiarito in questi ultimi mesi, è che non dobbiamo scegliere tra le due cose”. Come è arrivato ad adottare questa citazione e a collegarla alla sua visione di governo?
Questa citazione esprime il fatto che, affinché la democrazia sopravviva, non può essere trattata semplicemente come un ideale . Deve essere qualcosa che risuona con le esigenze della vita dei lavoratori. E in questo momento in particolare, c’è la tentazione di dire che la democrazia è sotto attacco dall’autoritarismo di Washington DC, il che è vero. Ed è anche sotto attacco dall’interno, [a causa] dell’appassimento della fiducia nella sua capacità di soddisfare qualsiasi esigenza dei lavoratori. Non è che dobbiamo convincere le persone a credere nella democrazia come concetto; è che dobbiamo convincere loro della sua rilevanza nelle loro vite. E [oltre a FDR] penso anche a Fiorello La Guardia, il più grande sindaco della nostra storia, che ha affrontato la crisi dell’ostilità verso gli immigrati e della negazione della dignità dei lavoratori, e lo ha fatto con la consapevolezza di cosa significasse la realizzazione della democrazia, della vita, della libertà e della felicità, comprendendola nel linguaggio della sfera urbana: più parchi, più bellezza, più luce.

Roosevelt aveva un programma molto ambizioso ed era un politico magistrale. Eppure non riuscì a realizzarlo tutto. Lo stesso vale per La Guardia. Oggi, mentre lei cerca di attuare un programma altrettanto audace, c’è chi dice che lei è troppo inesperto. Questo sarà senza dubbio uno dei temi delle elezioni autunnali, in cui il suo principale avversario è un ex governatore il cui padre, anch’egli ex governatore, disse la famosa frase: “Si fa campagna elettorale con la poesia, si governa con la prosa”. Come intende mantenere le promesse fatte in campagna elettorale?
Alla fine del mio mandato come sindaco, dopo aver vinto queste elezioni, sarò giudicato in base alla mia capacità di mantenere le promesse fatte in questo programma. Sarò chiamato a rispondere dei punti centrali di questo programma: l’impegno a congelare gli affitti, a rendere veloci e gratuiti gli autobus più lenti del Paese, a garantire l’assistenza all’infanzia universale in una città in cui il costo annuale per un bambino è di 25.000 dollari. La sfida della politica è quella di essere all’altezza di ogni momento. Quello che abbiamo dimostrato in questa campagna è la nostra capacità di farlo dall’inizio, quando gestivo due persone, fino a questo punto in cui ne abbiamo più di 52.000 [come volontari della campagna]. Questo non significa che la campagna elettorale e il governo siano la stessa sfida, ma significa che entrambi presentano un panorama in continua evoluzione, in cui è possibile avere successo solo se si assume un team composto dai migliori e anche dai più ambiziosi. Quello che abbiamo fatto in questa campagna è stato dimostrare la nostra capacità di farlo, e quello che faremo nel governare è lo stesso: assumere in base alla competenza e fidarci delle nostre convinzioni, dei nostri impegni, per coinvolgere anche coloro che non si caratterizzano per la rapidità con cui dicono sì a un’idea che mi viene in mente, ma piuttosto per i risultati che possono dimostrare nell’adempimento di un mandato come questo.

La democrazia è sotto attacco di Trump, ma sta anche appassendo al suo interno: noi dobbiamo farla essere rilevante per la vita delle persone, basta
imbarazzi per le nostre idee
Lei ha promesso di “governare la nostra città come modello per il Partito Democratico, dove lottiamo per i lavoratori senza scusarci”. Questo rifletteva la situazione del partito, non solo a New York ma a livello nazionale. Oggi c’è un dibattito su come il partito dovrebbe riconnettersi con gli elettori della classe operaia. Se sarà eletto sindaco, il suo successo o fallimento sarà misurato principalmente in base a ciò che farà per i cittadini di New York. Ma vede anche il potenziale per un modello di nuova politica in America?
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Gli attacchi del New York Times? Parlano a nome di una dozzina di persone, ma non sono io a chiedere bavagli. Userò sempre i social. Il film che incarna
la città? “Fa’ la cosa giusta” di Spike Lee
Spesso ho avuto l’impressione che noi del Partito Democratico fossimo imbarazzati da alcune delle nostre convinzioni, al punto di tirarci indietro al primo segno di resistenza. E quello che ho scoperto come newyorkese è che la cosa che i newyorkesi odiano più di un politico con cui non sono d’accordo è uno di cui non possono fidarsi. E così ho condotto una campagna che non si vergogna dei propri impegni, dei suoi principi, assicurandomi sempre che la mancanza di scuse non si traduca mai in condiscendenza, ma piuttosto in sincerità. Ciò consente un dibattito onesto con i newyorkesi, i quali sanno che la mia politica fiscale, come la espongo nelle sale in cui faccio incontri con gli amministratori delegati, è la stessa che espongo per strada: il desiderio di allineare l’aliquota massima di imposta sulle società di New York a quella del New Jersey, e di aumentare del 2 per cento l’imposta sul reddito delle persone fisiche per l’1 per cento più ricco dei newyorkesi. È un desiderio sincero, che non mi impedisce di condividerlo con coloro che potrebbero essere soggetti a tale imposta. Quando si vede il successo ottenuto dai repubblicani con il loro stile politico, si è tentati di credere che dobbiamo imitarli per poter competere con loro. In realtà, la sfida per noi è quella di mostrare la nostra visione alternativa.
C’è stata una certa pressione, già prima delle primarie e ancora di più dopo, affinché lei facesse marcia indietro su alcune dichiarazioni sul conflitto israelo-palestinese e sulla tassazione dei ricchi. Lei ha risposto incontrando i suoi critici, spiegando che queste sono le cose in cui crede e discutendo delle sue motivazioni. Questo è diverso dal modo in cui operano di solito i candidati.
Se ho preso degli impegni, l’ho fatto perché intendo mantenerli. Voglio essere onesto al riguardo. Questo non mi impedisce di continuare a cercare di essere un leader per l’intera città. Ma questo apprendimento non può avvenire a scapito dell’impegno a portare avanti le stesse politiche con cui abbiamo iniziato la corsa per le primarie.
Se sarà eletto sindaco, dovrà trattare con i leader politici di Albany e Washington. Lei ha detto che vuole usare il suo potere “per respingere il fascismo di Donald Trump”. Come intende rendere New York City a prova di Trump? E come intende farlo quando l’amministrazione la sta attaccando direttamente? Il portavoce della Casa Bianca storpiando il suo nome l’ha chiamata “Zamdami”…
Spero che trovino quel tizio. [Ride.]
I miei avversari hanno messo sul piatto 30 milioni di dollari in spot e mail per far di me una caricatura Intanto una persona su 5 non può permettersi
il biglietto della metro
Quindi, come si fa a rendere la città a prova di Trump?
Ci sono diversi modi: aumentare le entrate, in modo da poter non solo proteggere la città dai peggiori tagli federali che stanno per arrivare, ma anche perseguire un programma positivo. Non è sufficiente combattere la visione di Trump con un atteggiamento puramente difensivo. Dobbiamo anche avere una nostra visione per cui lottare e da mettere in pratica. E New York City [può anche opporsi alla Casa Bianca di Trump] applicando e rafforzando le attuali politiche di “città-santuario” (quelle città che grazie a leggi locali danno protezione a immigrati irregolari contro le deportazioni disposte delle leggi federali, ndt). Si tratta anche di una contesa di valori. E quando dicevo che troppo spesso sembra che noi democratici siamo imbarazzati, pensate a proprio a queste politiche da “città-santuario”, di cui ha parlato Eric Adams (l’attuale sindaco, ndt) come se fossero un attacco a ciò che ci rende newyorkesi, quando in realtà esistono da decenni e sono state addirittura difese prima di lui sia dai repubblicani che dai democratici. Sappiamo che sono proprio queste politiche che possono prevenire gran parte degli orrori che stiamo vedendo. Infine, possiamo lottare infondendo speranza nei newyorkesi che vivono nella disperazione, sia che si tratti della disperazione per quanto è diventata cara la città che chiamano casa, sia che si tratti della disperazione nel vedere che i soldi delle loro tasse vengono usati per uccidere civili a Gaza, come riportato recentemente dalla NBC News. È nostro dovere opporci a questo, dobbiamo far uscire i newyorkesi da quella disperazione. Dobbiamo garantire che non ci limitiamo semplicemente a sopravvivere in questa città, ma che ci sia anche un linguaggio e una realtà di aspirazioni qui a New York, ancora una volta.

Sarà una città a prova di Donald: difesa delle persone e aumento delle entrate per reagire ai tagli federali. I newyorkesi non meritano di vedere i loro soldi usati per uccidere a Gaza
Il presidente ha recentemente messo in discussione la sua cittadinanza e ha minacciato di arrestarla. Ne è rimasto sorpreso?
Molto poco. Ha parlato del mio aspetto, del mio modo di parlare, delle mie convinzioni, del mio status di naturalizzato. Penso che gran parte di ciò serva a distrarre l’attenzione. Nonostante tutte le differenze tra Trump e me, entrambi abbiamo condotto campagne elettorali incentrate sul costo della vita. Mentre lui ha tradito quegli impegni – attraverso la recente legislazione che priverà milioni di americani dell’assistenza sanitaria, ruberà il cibo agli affamati e continuerà la sua ormai nota tradizione di trasferimenti di trilioni di dollari dalla classe lavoratrice all’1 per cento dei super-ricchi – noi li manterremo. E questo metterà in evidenza il suo tradimento.
Invece di definirla un socialista democratico, Trump ha affermato che lei è un comunista. Parliamo quindi di ciò che lei è: un socialista democratico. Come definisce questo termine?
Lo penso spesso nei termini che Martin Luther King ha chiarito decenni fa: “Chiamatela democrazia o chiamatela socialismo democratico. Ma ci deve essere una migliore distribuzione della ricchezza all’interno di questo Paese per tutti i figli di Dio”. In un momento in cui la disparità di reddito sta diminuendo a livello nazionale, a New York City sta aumentando. E nel contesto dell’amministrazione comunale, intendo [il socialismo democratico come un modo per onorare] la responsabilità di garantire che ogni newyorkese viva una vita dignitosa. Parlo spesso di Fiorello La Guardia, un repubblicano che un tempo era candidato del Partito Socialista e lavorava a stretto contatto con la sinistra, perché ha garantito quella dignità attraverso gran parte di ciò che ha fatto come sindaco di questa città. È stato un sindaco che ha creato il Dipartimento dei Parchi, un sindaco che ha costruito alloggi per 20.000 newyorkesi con una portata e una rapidità che oggi sarebbero considerate irrealizzabili, un sindaco che ha capito cosa significasse lottare per i newyorkesi della classe operaia.
Quando parla di socialismo democratico, lo colloca in un contesto americano, cosa che molti dei nostri media non riescono nemmeno a immaginare. Ma negli Usa esiste una lunga tradizione socialista democratica, e uno dei migliori esempi è quello dei “socialisti delle fogne” di Milwaukee. Una delle cose interessanti dei socialisti delle fogne era che difendevano le piccole imprese, spesso contro le catene di negozi e le grandi aziende.
Sì! E l’estrema concentrazione di ricchezza e potere danneggia anche le piccole imprese. L’esempio del socialismo delle fogne è uno di quelli a cui penso spesso. Quello che abbiamo visto negli ultimi anni è che il linguaggio che dovrebbe essere identificato con la sinistra è diventato associato alla destra: il linguaggio dell’efficienza, dello spreco, della qualità della vita. Lottare per i lavoratori deve anche significare lottare per la loro qualità di vita. Il socialismo delle fogne, per me, rappresenta la convinzione che il valore di un’ideologia possa essere giudicato solo dai suoi risultati. Ciò significa migliorare i servizi e i beni sociali di cui i lavoratori usufruiscono ogni giorno: le fogne, l’acqua potabile, i parchi. Ci si guadagna la fiducia di qualcuno attraverso un risultato, ed è da questo che parto: il risultato di una città accessibile e il desiderio di dimostrare che il governo può effettivamente essere all’altezza delle sue responsabilità nei confronti dei residenti che lavorano.
Quindi non è il candidato dei miliardari?
No. [Ride.]
Eppure recentemente hai incontrato i leader della comunità imprenditoriale, alcuni dei quali sono miliardari. In qualità di sindaco, come intende gestire i rapporti con la comunità imprenditoriale?
Innanzitutto, dimostrando loro che li considero parte integrante di questa città e che la mia visione per la città include anche le stesse società alle quali intendo aumentare le tasse. So che, indipendentemente dai nostri dissidi, esiste un interesse comune nel successo di questa città. Ci sono punti di disaccordo, senza dubbio. Ma inoltre, entro in quelle sale [per gli incontri con i leader del mondo degli affari] preceduto da una caricatura di me stesso che è mia responsabilità correggere. Non biasimo molti newyorkesi per avere quella caricatura, perché sono stati sottoposti a più di 30 milioni di dollari in spot televisivi, mail e spot radiofonici con quegli stessi esempi di diffamazione e calunnia. Entro in quelle riunioni chiarendo che, anche se potremmo – e probabilmente, per molti, lo faremo – uscire con gli stessi disaccordi sulla politica fiscale e gli strumenti con cui garantire l’accessibilità economica, l’accordo su tali questioni non è la base su cui sceglierò con chi sono disposto a parlare di altre questioni. Ci sono molte interlocuzioni che ho avuto che iniziano e finiscono con un disaccordo sulla politica fiscale, ma che includono anche aree di interesse comune per quanto riguarda i nostri parchi o il nostro paesaggio urbano, o riflessioni su ciò che questa città potrebbe essere. Per me la politica deve essere un atto che trasforma il principio in possibilità. E lo si fa tendendo la mano a tutti coloro che sono interessati, non a tutti coloro che sono d’accordo su ogni singola idea che si ha.
La sua campagna si è concentrata sul fatto che sia sempre più difficile permettersi di vivere a New York, forse più che mai nella sua storia.
Se si parla con un numero sufficiente di newyorkesi, si giunge a questa conclusione. È la differenza tra poter continuare a vivere in città o meno. La gente lo sente a proposito dell’affitto, lo sente nel mercato del lavoro, lo sente nella spesa, lo sente nella sua MetroCard. Un newyorkese su cinque non può permettersi un biglietto della metropolitana da 2,90 dollari nella città più ricca del paese più ricco della storia del mondo. Ed è offensivo aver permesso che questo continuasse. È il momento di un governo cittadino che utilizzi effettivamente gli strumenti a sua disposizione per realizzare un tipo di città diverso.
Questa campagna è oggetto di grande attenzione da parte dei media. È stato frustrante quando, ad esempio, il New York Times ha pubblicato un editoriale in cui sosteneva: “Non crediamo che il signor Mamdani meriti un posto nelle schede elettorali dei newyorkesi”?
Ho considerato quell’editoriale come l’opinione di una dozzina di newyorkesi, un’opinione che hanno tutto il diritto di esprimere e con cui non sono d’accordo, ma che non mi impedirà di interagire con loro in futuro. È così che affronterò gran parte di questa situazione, assicurandomi che il mio disaccordo con qualsiasi analisi non si estenda mai a ciò che fanno oggi troppi politici, ovvero cercare di limitare sia l’accesso che concedono ai media sia la capacità dei media di continuare a fare il loro lavoro.
La sua attenzione alla produzione di social media, che ha ottenuto molta attenzione a livello nazionale, continuerà se sarà eletto sindaco?
Sì. Gran parte di questa campagna continuerà, e dovrà continuare, anche durante il mandato, e il modo in cui comunichiamo è una di queste cose. È una parte fondamentale per garantire che i newyorkesi si riconoscano nella loro democrazia: che ascoltino effettivamente coloro che hanno eletto attraverso un mezzo che utilizzano realmente.
Potrebbe diventare sindaco in un momento in cui il presidente la attacca apertamente e i politici di Albany dicono che non ci sono soldi.
La caricatura di me stesso non potrà che crescere, il che significa che la nostra capacità di raggiungere i newyorkesi dovrà crescere allo stesso modo. Traggo ispirazione da molti leader che hanno cercato di parlare direttamente ai loro elettori, come il senatore [Bernie] Sanders e la deputata [Alexandria] Ocasio-Cortez attraverso l’uso dei media digitali su scala nazionale, sia che si tratti della [presidente] Claudia Sheinbaum in Messico. L’uso del digitale tende ad essere descritto come se fosse una parte opzionale della nostra politica odierna. Invece è una necessità.
Ha appena citato Claudia Sheinbaum. Il sindaco di New York è una figura di livello mondiale. Se verrà eletto, come affronterà le questioni nazionali e internazionali? Come costruirà queste relazioni?
Bisogna concentrarsi sulla città. Questa città è la sua porta d’accesso al mondo. Quasi il 40% delle persone che vivono in questa città sono nate fuori dal Paese, me compreso. Sarò il primo sindaco immigrato di New York da generazioni e lo considero sia un onore che una responsabilità.
Lei ha riconosciuto che le persone potrebbero avere opinioni molto diverse dalle sue su questioni specifiche, come quelle relative al Medio Oriente, Gaza, per esempio. Ma ha sottolineato il suo impegno nel garantire la sicurezza di tutti coloro che vivono in città .
Questa città appartiene a tutti i newyorkesi. Ne fanno parte non in base alle loro convinzioni politiche, religione o razza, ma per il semplice fatto di essere newyorkesi. E io sarò il sindaco di ciascuno di loro. Anche in caso di disaccordo, ci sarà sempre la consapevolezza di un senso condiviso di umanità e di appartenenza.
Le capita mai di arrabbiarsi?
Sì, mi capita di arrabbiarmi! Sai, mi sono arrabbiato parecchio quando ho incontrato Tom Homan [responsabile della sicurezza delle frontiere di Trump] ad Albany. Mi arrabbio quando vedo le terribili conseguenze di questa amministrazione federale di destra. È una rabbia che so che molti provano, ma non è una rabbia che possiamo lasciare che corroda il nostro spirito e la nostra anima.
Ha un film preferito che cattura lo spirito di New York City?
Ho spesso detto [Spike Lee] Do the Right Thing.
Ascolta musica?
Ascolto musica perché è qualcosa che posso fare mentre faccio altro. Ascolto musica mentre mi preparo al mattino; ascolto musica mentre prendo il treno, mentre cammino. Alcune mattine ascolto una canzone chiamata O Sanam di Lucky Ali; altre mattine ascolto musica “soca” (musica dance originatasi in Trinidad dalla calypso, ndt) per svegliarmi e prepararmi per la giornata. E non so se potrei farlo senza quella musica. Ti dà ciò che speravi di avere già al risveglio – l’energia, la speranza, la fiducia – oppure ti porta lontano da ciò che ti sta consumando.
C’è un libro che l’ha plasmata?
Molti anni fa ho letto American War di Omar El Akkad, e c’era una frase che diceva: “Cos’era la sicurezza, dopotutto, se non il rumore di una bomba che cadeva sulla casa di qualcun altro?”. Mi è rimasta impressa per molto tempo e ha influenzato il modo in cui vedo non solo il mondo, ma anche il mondo che sto cercando di conquistare.
In questo periodo pensa solo a come poter migliorare New York o anche a come un sindaco potrebbe rendere il mondo un posto migliore?
Cerco di mantenere la mia visione ben focalizzata. Conosci la vignetta del New Yorker intitolata “Una vista del mondo dalla 9th Avenue”? È così che cerco di svegliarmi ogni mattina.
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