Mondo sommerso
di Alberto Vannucci

I sindacati? Sono un argine alle disuguaglianze

Pesano come un tiro, decisivo da tre punti le considerazioni della leggenda della pallacanestro Kareem Abdul-Jabbar in difesa dei giovani atleti dei college americani: “La storia ci ha dimostrato che i manager non sono motivati a fare la cosa giusta soltanto perché è giusta. I sindacati non saranno perfetti, ma hanno contribuito più di ogni altra istituzione a creare pari opportunità e a rompere le barriere di classe”. Nell’epoca delle “verità alternative”, almeno questo è un dato indiscutibile: ogni progresso nelle condizioni di lavoro e salariali, nella protezione sociale e tutela delle fasce più indifese della popolazione ha avuto la sua matrice nelle faticose, spesso dolorose battaglie condotte dalle organizzazioni dei lavoratori. “I sindacati sono la sola voce potente ed efficace che i lavoratori abbiano avuto nella storia di questo Paese”, aggiunge il Boss, nel senso di Bruce Springsteen.

Lo dicono gli studi, lo dimostrano gli Usa. Chi li sporca fa un doppio danno

Come qualsiasi altra organizzazione, anche i sindacati sono esposti ad abusi, malversazioni, tradimenti di fiducia. Proprio gli Stati Uniti hanno visto un utilizzo estensivo dei sindacati come mezzo di arricchimento e potere personale da parte di leader infedeli. Sin dalla fine del XIX secolo, con una drastica accelerazione negli anni del proibizionismo, la presenza di gruppi criminali ha avuto poi un peso preponderante in una risolutiva gestione delle relazioni industriali. Quell’imprinting di violenza e corruzione pesa tuttora – negli Usa appena il 10,3 per cento dei dipendenti è iscritto a un sindacato, contro il 15,8 della media dei Paesi industrializzati dell’Ocse, l’Italia è al 32,5. È stata dimostrata la netta correlazione tra un tasso ridotto di sindacalizzazione e la sperequazione nella distribuzione della ricchezza. Le voragini che negli Usa ormai separano le fasce dei lavoratori a basso reddito dai pochi sempre più facoltosi – di recente beneficiati da ulteriori tagli fiscali dal trumpiano Big Beautiful Bill – hanno la propria radice nella strutturale gracilità delle rappresentanze sindacali.

Il differente retaggio dell’Italia, dove l’attivismo sindacale spesso si è amalgamato con quello politico, filtrato dai partiti di massa, non ha preservato le organizzazioni dei lavoratori da un’equivalente crisi di sfiducia e “smobilitazione”. Tra le istituzioni mappate nel rapporto Demos 2022, l’ultimo disponibile, i sindacati sono nelle posizioni di coda – solo il 27 per cento si fida di loro, peggio fanno solo banche, Parlamento e partiti. Le cronache giudiziarie degli ultimi anni raccontano di leader sindacali che giustificavano come impegni associativi le spese per crociere e vacanze, ovvero si auto-autorizzavano emolumenti tanto sontuosi quanto “secretati” al pubblico. Peggio ancora, vi sono casi di rappresentanti locali che hanno patteggiato coi datori di lavoro intese sfavorevoli per i propri rappresentati, in cambio di assunzioni di parenti o vere e proprie mazzette. Tutti finiamo per pagare nostro malgrado il prezzo nascosto di queste più o meno grossolane manifestazioni di “corruzione sindacale”.

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