Le ustioni sul 38% del corpo e due tatuaggi – una tigre e un acchiappasogni – raccontano la storia di Nicu Alexa. Nel 2008 sopravvive a una violenta esplosione di metano nella miniera di Petrila, in Romania. Inviato come soccorritore, ricorda ancora il gattonamento tra i tunnel, nel tentativo disperato di uscire vivo da quel girone infernale insieme al suo collega ferito. «Il metano è sempre stato il pericolo numero 1 delle miniere di carbone», dice Nicu, che porta ancora oggi i segni dell’incidente. Dal 1922 le esplosioni innescate da questo gas serra hanno provocato centinaia di vittime in Romania, soprattutto nella Jiu Valley, cuore dell’industria carbonifera del paese. Il metano è un gas serra altamente infiammabile, che tende ad accumularsi nelle miniere sotterranee, in particolare quelle di carbone. Quando la concentrazione nell’aria supera il 5%, e mancano ventilazione e misure di sicurezza adeguate, può trasformarsi in una bomba in grado di incenerire chilometri di gallerie. Ancora oggi, esplosioni simili continuano a mietere vittime anche in Polonia meridionale. È proprio per rispondere a questo tipo di incidenti che, nel cuore della regione carbonifera della Slesia, è nato il Centrum Leczenia Oparzen: un centro medico d’eccellenza dedicato al trattamento delle ustioni gravi. Poco distante, a Bytom, ha sede il quartier generale delle squadre di salvataggio. Qui i soccorritori sono considerati veri e propri eroi: minatori addestrati a intervenire in ogni tipo di emergenza, anche a 800 metri di profondità tra fumo, crolli e fiamme divampanti. Con il solo obiettivo di riportare in superficie i colleghi intrappolati.
Il metano non rappresenta solo un rischio per i minatori, ma anche un grosso problema “climatico”: le sue molecole intrappolano più calore dell’anidride carbonica. Nel 2021, oltre 900mila tonnellate di metano sono fuoriuscite dalle miniere sotterranee europee, finendo direttamente in atmosfera. Per contenerle, dal 2024 le aziende minerarie sono obbligate a monitorare più rigorosamente le perdite e a intervenire sui pozzi di ventilazione, attraverso sistemi di cattura o combustione controllata. Nonostante la crisi energetica causata dalla guerra in Ucraina, Romania e Polonia stanno gradualmente eliminando il carbone come fonte energetica primaria, anche a seguito di politiche ambientali sempre più stringenti imposte da Bruxelles.
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Oggi nella Valle del Jiu restano attive solo quattro miniere, in cui lavorano circa duemila minatori: negli ultimi anni su base volontaria ne sono stati licenziati oltre 50mila. Ora Bucarest punta a chiudere tutte le miniere inefficienti entro il 2032 e riqualificare alcune aree depresse. I quartieri in stile comunista a Vulcan, la colonia di Petrosani o quella di “Bosnia” a Petrila, in cui un tempo abitavano le famiglie dei minatori, oggi versano nel degrado sociale ed economico. Il primo piano di riconversione elaborato negli anni 90’ prometteva riqualificazione e sviluppo del turismo. Fu creata una compagnia statale (poi fallita) per la chiusura delle miniere e vennero stilate alcune strategie, mai attuate.
In Polonia invece negli ultimi trent’anni sono state chiuse due terzi delle miniere della Silesia: un declino che ha sfilacciato il tessuto economico e sociale di numerosi centri urbani che prosperavano esclusivamente grazie al carbone. Proprio a Bytom, fino a una decina di anni fa, episodi di edifici collassati per la totale assenza di manutenzione non facevano neanche notizia e ancora oggi sono visibili diversi edifici ottocenteschi abbandonati, sul punto di crollare. «Sono favorevole ad abbandonarle il carbone il prima possibile, ma deve essere garantita la sicurezza energetica e ai minatori vanno offerte opzioni di reinserimento nel mercato del lavoro. Per evitare che finiscano per strada, come accaduto finora», dice Andrzej Chwiluk, soprannominato il minatore “ambientalista”.

Romania
Sprofondo Ceausescu
La valle Jiu – in particolare con la miniera di Petrila, che impiegava migliaia di persone proprio come Nicu Alexa nella foto qui accanto – – è stata il cuore della produzione di carbone, soprattutto durante il periodo comunista di Ceausescu. Oggi molte strutture sono state chiuse – come Petrila appunto, dal 2016 – o dismesse. Il monitoraggio delle emissioni residue e di quelle provenienti delle miniere ancora attive è scarso e poco trasparente. Ma c’è anche un’altra emergenza: quella sociale. La valle Jiu dopo la dismissione del carbone è diventata tra le più povere del paese con una massa di disoccupati di difficile re-impiego.



Ucraina
Le miniere illegali
È il Donbass il cuore dell’industria estrattiva e l’oligarca Akhmetov il suo gran signore. L’occupazione dei separatisti filo-russi però ha fortemente ridotto la produzione di una regione cresciuta nel mito di Stakhanov. Una delle zone di estrazione più significativa è Torez, in omaggio al sindacalista francese. Ma proprio qui si stanno diffondendo attività di estrazione di carbone illegali, che hanno un impatto ambientale fortissimo con contaminazione delle fonti di acqua potabile e smottamenti. E sebbene Ucraina e Polonia fossero tra i paesi che meglio misurassero l’entità delle emissioni, ora il conflitto tra Kiev e Mosca ha di fatto compromesso i controlli.



Polonia
Emissioni record in Ue
La Polonia è responsabile di circa i due terzi delle emissioni di metano delle miniere di carbone nell’Unione Europea, con un rilascio annuale di 1000 milioni di metri cubi. Nonostante Verdi e Ong ne chiedano la chiusura – il costo dell’attività mineraria è molto elevato e la produzione di energia elettrica da carbone non è più economicamente sostenibile – il governo ha stabilito che si proseguirà fino al 2049, anche considerando gli sforzi dell’industria del carbone per annacquare i nuovi obiettivi di riduzione di metano stabiliti dal regolamento europeo. Allo stesso tempo è molto rilevante il problema occupazionale: i sindacati – anche quelli più sensibili al tema ambientale – sostengono che le miniere non possono essere chiuse così facilmente come in passato. Nello stesso tempo si cercano soluzioni alternative. Come ad esempio la miniera sperimentale “Barbara” a Mikolov, nel sud del paese, un centro di ricerca sotterraneo all’avanguardia. Qui si sperimentano nuove tecnologie per la cattura e il riutilizzo del metano dalle miniere allo scopo di migliorare l’efficienza energetica (progetto denominato “Marco”).


Spagna
Avanguardia asturie
Era una delle regioni carbonifere più sviluppate d’Europa. La maggior parte delle miniere sono state chiuse nel 1995 attraverso al tecnica delle inondazioni, dando vita a importanti progetti di riqualificazione. Utilizzando l’acqua delle miniere di Pozo Barredo, l’azienda Hunosa fornisce energia geotermica al centro di ricerca del campus universitario di Mieres, all’ospedale Vital Alvarez Buyilla e alla fondazione asturiana per l’energia. Così l’ospedale è diventato il più grande impianto geotermico in Spagna.

Grecia
Green a metà
Da una parte progetti innovativi, come quello di rendere “visibile” il metano – visto che i satelliti non sono sempre attendibili – agli occhi di chi deve occuparsi della sua emissione, attraverso un gas analyzer micro-portatile. È quello che fanno i tecnici di Clean Air Task Force ad esempio attorno alla miniera di Megalopolis. Oppure quello della Thissio Air Monitoring Station dell’Osservatorio di Atene, che utilizza analizzatori ad alta definizione per il monitoraggio del gas serra. Dall’altra invece la Grecia – soprattutto il Peloponneso – che è restata legata a doppio filo alle miniere, praticamente unica fonte di benessere. Qui la dismissione sta provocando recessione e spopolamento.

Questo articolo è stato realizzato con il supporto di Journalismfund Europe.