È la prima donna con il velo a lavorare in una libreria”. “Di colore: il nuovo primario dell’ospedale”. Sono solo alcuni dei titoli di articoli giornalistici che riportano queste notizie. Per i capiredattori dev’essere sembrato qualcosa di inusuale, tanto da doverci dedicare un pezzo. In Italia, leggendo la stampa, è degno di notizia se il conduttore di un programma televisivo è musulmano o se la cassiera o l’autista del bus sono della Costa D’Avorio. Sembra che il testimoniarlo, a mezzo stampa, serva a dimostrare all’opinione pubblica che anche gli altri sono normali: capaci di lavorare come noi, nonostante la “diversità”. Per altri, invece, il motivo di questa attenzione sta nella volontà di dimostrare che l’Italia sta cambiando.
Dopo trent’anni di immigrazione la normalità è lontana. Basta leggere i giornali (e sentire quello che dice Vannacci)
Sì, ma da quanti anni sta cambiando il nostro Paese? Ricordo che già trent’anni fa uscivano articoli di giornale sulle coppie miste, mogli italiane e mariti arabi, e i loro figli che “vivevano all’Occidentale”. O, ancora, quelle spassose interviste in cui famiglie miste testimoniavano di celebrare Ramadan e Natale, senza omissioni.
Oggi, trent’anni dopo, il risultato di questi articoli non è più quello di normalizzare una situazione che di anormale non ha nulla, ma di reiterare campagne d’odio che una parte della nostra politica porta avanti. Non a caso, dopo ognuno di questi articoli gli animali dell’odio si sono adoperati nel delegittimare “il nero che non deve lavorare in ospedale, perché attacca le malattie” e la “donna con il velo: vende solo il Corano”. Gli immigrati non rubano più il lavoro, come si diceva negli ultimi anni Novanta e i primi del 2000. Oggi l’immigrato, anche se di terza generazione, non va bene nel mondo del lavoro per via dell’identità che porta con sé. Che cosa possiamo fare? È la domanda spontanea a cui bisogna rispondere. Poi: è giusto parlare di questi “nuovi lavoratori” oppure no?
Normalizzare significa dare per scontato. Personalmente, davo per scontato che l’autista di un bus potesse essere di qualsiasi colore. Uguale, una donna in libreria può portare al collo un crocifisso o un velo in capo. Non dovremmo sorprenderci, tanto da farli finire nelle breaking news. Altrimenti si crea un finto razzismo al contrario, usato da gente come Vannacci. “Non fa notizia perché non è nera né islamica” ha detto il generale V., commentando la performance dell’atleta Erika Saraceni. Una frecciatina contro la velocista italiana Kelly Doualla “troppo omaggiata dalla stampa” (perché nera).
In questo caso, a rispondere al general V. è stata la stessa Saraceni. “Doualla merita più attenzione di me perché fa i 100 metri, la gara regina delle Olimpiadi. E poi ha solo 15 anni”. E ha sottolineato: “Non c’entra il colore della pelle!”.