Sabato sera dopo Ferragosto, a Ventotene. La signora ha la forma compatta di un cubo e una faccia da bulldog. Un’età tra i cinquanta e i sessanta, oppure tra i quaranta e cinquanta. Indecifrabile. Si mette in posa per una foto. Alle spalle il mare e gli scogli dove c’è il faro. Il figlio, un ragazzino, adempie al suo dovere familiare e scatta con un smartphone. Il marito, un po’ spazientito, guarda altrove. La donna scruta sospetta la foto e intima al figlio di farne un’altra. Il marito si volta e chiede: “Non ne bastava una?”. La moglie: “Non mi piace come sono venuta”. E lui, definitivo e rassegnato: “Ma lassa perde, nun si mica Sceron Ston!”.
La scena avviene nella piazzetta della chiesa di santa Candida, laddove si scende per il porto. È intitolata, la piazzetta, ad Alcide De Gasperi, lo statista democristiano che guidò l’Italia dopo il regime mussoliniano. Chissà perché. De Gasperi non figurava infatti tra gli oltre duemila prigionieri politici che la dittatura fascista confinò dal 1930 al 1943 su questa isola piccola, secca e lunga delle Pontine, nemmeno due chilometri quadrati. La metà era comunista e c’erano Luigi Longo, Umberto Terracini, Camilla Ravera, Pietro Secchia, Mauro Scoccimarro, Eugenio Curiel, Giovanni Roveda. Nomi che hanno segnato la storia clandestina e partigiana e infine repubblicana del Pci. A Ventotene c’erano poi i socialisti capeggiati da Sandro Pertini, gli anarchici e gli azionisti. E ovviamente c’erano Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, che qui, con l’aiuto di Eugenio Colorni, immaginarono e scrissero nel 1941 il Manifesto per un’Europa libera e unita e soprattutto federalista, che non è certamente l’Europa spuria, senza forma e senza forza, di oggi.
I dormitori dei dissidenti sono stati demoliti nel 1980, e le macerie buttate in mare
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I cameroni distrutti
Il confino era una misura preventiva di polizia, non una condanna giudiziaria, e per finirci era persino sufficiente aver raccontato una barzelletta antifascista. A Ventotene, i cameroni in cui vivevano i confinati sono stati demoliti nel 1980: tonnellate di calcinacci, come raccontano gli autoctoni, che finirono a mare, a nord dell’isola, dove ci sono pure i resti di villa Giulia, la dimora in cui l’imperatore Augusto esiliò la figlia Giulia, accusata di tradire a ripetizione il marito generale Agrippa. In compenso, a voler riparare lo sfregio demolitivo alla memoria, oggi ci sono targhe e lapidi a iosa. Non solo: lo slargo davanti alla zona dei cameroni ha la dignità di “piazza del confino politico”. Lo spirito di Ventotene si è trasfigurato in una sorta di marketing politico-culturale che diventa visibile soprattutto in piazza Castello, il nucleo centrale dell’isola, dove il Manifesto è un diventato un murale su uno sfondo giallo ocra. È stato inaugurato appena un anno fa. A conferma che la riscoperta dell’utopia spinelliana è direttamente proporzionale ai disastri odierni dell’Unione europea.

Pellegrinaggio a tappe
La tappa principale del pellegrino-turista però non può essere che una sola. La tomba di Altiero Spinelli, confinato a Ventotene dal 1939 al 1943 e che qui riposa per l’eternità, dopo la sua morte avvenuta nel 1986. Il cimitero è a nord dell’isola, prima di Villa Giulia, e nel luglio del Ventitré fu la meta assolata di Elly Schlein, da pochi mesi segretaria del Partito democratico. Chiediamo dunque informazioni al nostro albergatore. La risposta sorprende e spiazza: «Il cimitero è sempre chiuso». Come si può fare per visitarlo? «Dovete farvi dare le chiavi dalla signora…». Seguono le indicazioni del nome della signora e del negozio di cui è titolare. Il pellegrinaggio principia, quindi, dalla ricerca del negozio, in una stradina laterale che sale da piazza Castello. È sera. La signora vende articoli casalinghi.

«Buonasera, ci è stato detto che lei può darci le chiavi del cimitero: è vero?».
«Certamente, quando volete andare?».
«Pensavamo domani mattina, se è possibile».
«Va bene, ma dovete riportarmele entro le dieci, grazie».
«Ma ce le date così sulla fiducia, senza chiedere un nome o un numero di telefono?».
«Noi ventotenesi abbiamo sempre fiducia».
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La consegna della chiave, è una sola, quasi emoziona il pellegrino-turista, ma subito si appalesa, diabolica, una tentazione. Tornando indietro, verso piazza Castello, c’è un negozio che ha l’immagine di una grossa chiave sulla vetrina. È una piccola ferramenta. C’è l’opportunità maligna di fare una copia-souvenir. Ma è chiuso.

La visita al cimitero
Il cimitero di Ventotene è proprio di fronte al nostro albergo, in cima a una collinetta. Si scende verso Cala Rossano, dove c’è una spiaggia, e poi si affronta una lunga scalinata. Il cancello è chiuso da una catena con lucchetto. Le ceneri di Spinelli sono in loculo nell’ala sinistra del camposanto, entrando dal cancello. Nome e cognome, date di nascita e di morte e una bandiera blu dell’Europa con le dodici stelle, afflosciata su se stessa. La visita è breve, il cimitero è piccolo. Sole e silenzio. Soletudine. Una turista vede il cancello aperto ed entra. C’è il rischio di andare via e chiuderla dentro. Ma la donna esce subito. Si è solamente guardata attorno. Il cancello si può rinserrare, per poi andare a restituire la chiave al negozio. «Grazie di tutto, e scusi il ritardo, sono le undici». «Non vi preoccupate, c’è chi le riporta dopo un giorno». Sempre sulla fiducia.

Cicerchie e vongole
Ventotene è un’isola di colori pastello. Le case, massimo due piani, sono tinteggiate perlopiù con il celeste, il giallo, il rosso ruggine. Ultimamente, però, avanza anche il rosa. Il porto è una sequela impressionante di grotte trasformate in ristoranti e bar. Mangiare. È la prima legge del turismo a oltranza, che oggi tutti chiamano “over”. I piatti fanno sposare le due vocazioni indigene, la terra e il mare. Ossia pasta con cicerchie e vongole. Ventotene venne scelta per il confino perché minuscola, inospitale e selvaggia. Nei due film di Virzì qui ambientati e ormai cult, Ferie d’agosto (1996) e il malinconico sequel Un altro Ferragosto (2024), c’è il famigerato scontro politico, destra contro sinistra e viceversa, tra due famiglie romane, i Molino e i Mazzalupi. In realtà Ventotene è un’isola napoletana nelle viscere, a partire dal dialetto locale che è una variante della lingua partenopea. Ischia è appena a un’ora di barca. Ma qui è provincia di Latina dal 1934. Nel 1772, l’isola non era popolata e Ferdinando IV di Borbone, re di Napoli, fece arrivare i coloni primigeni: ventotto famiglie da Torre del Greco, da Torre Annunziata, da Ischia, da Napoli e finanche da Amalfi e Gioia del Cilento. Oggi i residenti sono più o meno settecento e d’estate la massa di villeggianti e turisti ha due maggioranze, una campana e l’altra laziale.
Giustizia sociale e tranci di pizza
Il Manifesto di Ventotene predica la fatidica giustizia sociale. Ma questo non ha impedito l’aumento stratosferico dei prezzi, come del resto accade in ogni altra località italiana di mare. Al forno più gettonato, nell’altra stradina laterale che sale da piazza Castello, c’è una fila interclassista sin dal mattino presto. Esempio del carovita in vacanza: quattro tranci di pizza rossa (senza mozzarella) quasi tredici euro. Negli anni del confino, i dissidenti erano organizzati in mense, una per ogni gruppo politico. I comunisti gestivano persino un pollaio dentro un vero kolkoz (anche una mucca e vari maiali), mentre Sandro Pertini per un breve periodo fu il capo della mensa dei socialisti. Sepolto dalle ambizioni epicuree del pueblo vacanziero, lo spirito di Ventotene, oltre che in lapidi e murales, sopravvive nell’enclave libraria dell’Ultima Spiaggia, che vende tomi su ogni aspetto storico dell’isola. Più controverso, invece, lo spirito tradotto in merchandising da un imprenditore locale che ha registrato persino il marchio “Confinato a Ventotene” per magliette, costumi, teli e altro ancora. E così in giro si vedono ignari turisti con queste magliette indosso per ostentare uno stato di grazia per il loro soggiorno, ma che originano da una tragedia politica fatta di reclusione e spesso di morte. In ogni caso il copyright morale del confino vacanziero è di Silvio Berlusconi, che più di vent’anni fa sentenziò: “Mussolini non ha mai ammazzato nessuno: mandava la gente in vacanza al confino”.
“Confinato a Ventotene”: si fa merchandising su magliette e teli da bagno
L’incanto e le strade sporche
A Ventotene non si vede un quotidiano. Non arrivano più. In spiaggia solo bagnanti muniti di libri. Un giorno è capitato di registrare ben cinque donne stese sul lettino a leggere tutte lo stesso volume: Dimmi di te, l’ultimo romanzo di Chiara Gamberale, il cui epilogo si dispiega proprio a Ventotene. Eppure, l’incanto dell’isola resiste a tutto. Anche ai costoni di tufo pericolanti, che fanno chiudere le spiagge, e alle strade sporche: davanti alla sede della Guardia di Finanza, una fettina di limone, residuo di un aperitivo, è rimasta per terra per ben tre giorni, fino alla nostra partenza. Forse è ancora lì. Il sindaco dell’isola è un democristiano che simpatizza per Giorgia Meloni e l’ha difesa quando la premier ha detto che “l’Europa (comunista, ndr) di Ventotene non è la mia Europa”. Si chiama Carmine Caputo, ha 77 anni e vive a Formia. A Ventotene sbarca nei giorni centrali della settimana. Qui ha fatto a lungo il segretario comunale e i suoi oppositori sostengono che sia stato scelto quale garante di alcune famiglie storiche dell’isola. Alle Politiche, Ventotene si allinea al vento nazionale: astensionismo al 50 per cento e prevalenza della destra. Non solo.
Le nubi vannacciane
All’orizzonte di Ventotene affiorano già le nubi vannacciane. In spiaggia, a Cala Rossano, ecco l’invettiva di un quarantenne casertano con moglie e figlioletta. Dice: “Io questa Europa non la sento, non me ne frega nulla. La prossima volta voto il generale Vannacci, mi piace molto. La Meloni non la capisco, l’ho votata, ma lei delle famiglie se ne fotte”. Messa così, lo spirito di Ventotene non è uno spettro che si aggira per l’Europa. È un fantasma e basta.
