Sarà la metropolitana d’Italia”, diceva nel novembre del 2008 l’allora amministratore delegato di Fs Mauro Moretti alla vigilia dell’inaugurazione del tratto ad alta velocità tra Milano e Bologna. Un anno più tardi, col completamento della linea fino a Firenze, da Milano a Roma si poteva viaggiare in tre ore: treni quasi sempre puntuali, tanto da stupire la nuova categoria di pendolari sull’asse nord-sud. Ma a quindici anni di distanza, la puntualità è un lontano ricordo e la metropolitana d’Italia ha iniziato a inanellare più ritardi degli scalcagnati treni del trasporto pubblico per pendolari vecchio stampo. Più della metà dei ritardi deriva da cause legate all’infrastruttura gestita da Rete ferroviaria italiana (Rfi), società del gruppo Fs: la rete ormai è troppo congestionata, soprattutto nei nodi ferroviari di Milano, Firenze e Roma.
A guardare gli indici di puntualità resi pubblici da Rfi, nei primi nove mesi del 2023 è arrivato con un ritardo superiore di 10 minuti a destinazione, quindi all’ultima fermata, il 21,7% di treni ad alta velocità considerando sia quelli di Trenitalia che Italo: più di due treni su dieci. Peggio dei treni regionali: anche se per questi si considera un ritardo inferiore viste le distanze più brevi in gioco, quelli che superano i 5 minuti di ritardo sono il 9,4%, in sostanza uno su dieci. Questi numeri rappresentano una media e quindi non rendono conto dei disagi di chi viaggia su tratte più critiche o rimane bloccato per ore in stazione in giornate nere come lo scorso 23 ottobre, quando la rottura di un cavo elettrico al passaggio di un treno AV nella stazione romana di Prenestina ha bloccato la circolazione in mezza Penisola, provocando ritardi fino a 350 minuti. O come il giorno successivo, quando i treni AV fra Roma e Firenze hanno subito pesanti ritardi per la presenza di un gregge sulla linea ad alta velocità, evidentemente non interdetta all’attraversamento di animali. O il 6 ottobre, quando un treno si è fermato in mezzo ai binari all’entrata di Firenze per un inconveniente tecnico bloccando tutti gli altri. O l’8 agosto, quando 300 minuti di ritardo sui tabelloni sono stati causati da “estranei in galleria” tra Bologna e Firenze. I treni, insomma, sono come i polli di Trilussa: se in media mangiamo un pollo a testa, c’è chi se n’è mangiati due interi e, ahinoi, chi è rimasto a bocca completamente asciutta. Allo stesso modo, un dato medio che parla di due treni su dieci in ritardo non sembra un dramma, ma vallo a dire a chi, viaggiando spesso, finisce più volte a passare un’ora o più davanti al tabellone dei ritardi.

Il boom imprevisto
A soffrire sono soprattutto i nodi delle grandi città, dove basta un guasto alla linea o a un treno per mandare in tilt mezzo sistema per ore. C’è soprattutto un problema di capacità di questi nodi, esploso negli ultimi anni, ma con radici che affondano negli anni Novanta, quando è stato avviato un sostanzioso programma di nuove linee ad alta velocità, oggi ancora in fase di completamento visto che si sta ancora realizzando il tratto tra Verona e Padova: «Questo programma venne concepito con l’unico obiettivo di rendere più veloci i servizi tra le principali città d’Italia, senza tener conto che nelle ferrovie non basta fare una linea molto veloce, ma bisogna capire che tipo di treni metterci sopra, che orario costruire e qual è la domanda potenziale che potrà essere attratta dalle nuove linee. Ci sono infatti una serie di problematiche tecniche importanti, una delle fondamentali è che i treni devono poter entrare nelle stazioni», spiega Andrea Debernardi, ingegnere con trent’anni di esperienza nel campo della pianificazione dei trasporti, più volte consulente del ministero e in passato consulente anche delle ferrovie svizzere.
Più della metà dei ritardi è imputabile alla rete gestita da Rfi, ormai troppo congestionata
In Italia a un certo punto la domanda di treni ad alta velocità ha superato di gran lunga quanto era stato previsto: la nuova linea ha garantito una capacità aggiuntiva che anche in virtù delle norme europee andava aperta ad altri operatori. Così nel mercato è entrato Italo e la concorrenza ha portato a un abbassamento del prezzo dei biglietti. «Negli anni Novanta – continua Debernardi – si pensava che l’alta velocità sarebbe stata un servizio per una clientela d’affari e di lusso con un numero limitato di treni. Invece biglietti meno costosi hanno attirato molti più passeggeri e così sulle linee sono stati messi molti più treni di quanto ci si aspettasse». Questo è successo soprattutto tra Milano e Roma, come testimoniano i dati forniti da Rfi: il numero di treni circolati ogni anno su questo tratto ad alta velocità è passato dai 16.439 degli albori nel 2009, ai 21.658 del 2010, ai 38.944 del 2015, ai 52.994 del 2019 prima del Covid. Per la pandemia è sceso fino a 31.689 nel 2020, per poi ricominciare a salire: 34.919 nel 2021, 47.542 nel 2022, 51.358 la stima per il 2023.

Termini: 950 convogli al giorno
Le linee di per sé non sono ancora sature, ma c’è molto più traffico di quanto preventivato trent’anni fa. Da allora nessuno ci ha mai messo una pezza e oggi a mancare è la capacità nei nodi ferroviari, con i convogli che spesso faticano a entrare nelle stazioni più che mai ingolfate, tra treni ad alta velocità, intercity, regionali e treni merci. Per esempio nel nodo di Roma, secondo Rfi, circolano circa 1.150 treni al giorno, di cui 950 entrano a Roma Termini. Treni con caratteristiche e velocità diverse sugli stessi binari, in gergo tecnico “eterotachicità”, pongono ulteriori problemi di capacità. «Per potenziare il sistema delle stazioni nei grandi centri urbani – dice Debernardi – non è mai stato fatto uno sforzo paragonabile a quello della realizzazione delle nuove linee. E nemmeno è stato fatto uno sforzo per garantire che i l’alta velocità riuscisse a integrarsi con gli altri servizi, per cui oggi ci troviamo nella situazione in cui per aggiungere un treno ad alta velocità in stazione Centrale a Milano magari bisogna toglierne uno regionale, perché tutti e due non ci stanno. Con la conseguenza che si migliora la situazione per chi deve andare da Roma a Milano, ma si peggiora per chi deve andare da Roma a Como».
Le medie pubblicate dalle compagnie non fanno emergere i nodi e le tratte più critiche. Ecco quali sono
Fq millennium ha chiesto a Rfi e Trenitalia una serie di dati dettagliati sui ritardi divisi per linea e sulle cause dei ritardi, cioè in che proporzione siano da imputare a compagnia ferroviaria, rete gestita da Rfi o a cause esterne, come eventi meteo, questioni di ordine pubblico, suicidi. Dai dati forniti da Rfi per i primi nove mesi del 2023 si nota che i treni AV, considerando sia quelli di Trenitalia che di Italo, sulla Torino-Venezia a destinazione hanno una puntualità a 5 minuti del 70,5% e a 10 dell’84,2%. Fanno dunque meglio di quelli sulla Milano-Napoli, che hanno un indice di puntualità a 5 minuti del 67,4% e a 10 del 78,7%. Ribaltando il lessico delle fonti ufficiali, significa che sulla Milano-Napoli il 32,6% dei treni AV arriva con più di 5 minuti di ritardo e il 21,3% con più di 10 minuti. Andando un po’ più nel dettaglio su questa linea, nella direzione da nord a sud i treni arrivano a Bologna entro i 5 minuti di ritardo il 79,1% delle volte, a Firenze il 68,6%, a Roma il 70% e infine a Napoli il 66,2%. Ed ecco il ritardo medio registrato in queste stazioni da Trenitalia, secondo i dati della compagnia di Fs: 4,5 minuti a Bologna, 7 a Firenze, 8,3 a Roma e 13,1 a Napoli.
In generale i convogli ad alta velocità di Trenitalia nel 2023 hanno avuto sinora una puntualità a 10 minuti del 76,3%. I ritardi spesso non sono colpa di Trenitalia, ma possono dipendere da un problema della rete, da una causa esterna o anche da un guasto su un treno della concorrente Italo. L’indice di puntualità a 10 minuti depurato dai ritardi che non sono colpa di Trenitalia è del 95,7%
Fq millennium ha recuperato un report interno, da cui si vede quanto la puntualità media vari da mese a mese: quest’anno i Frecciarossa sono stati più puntuali a marzo (puntualità a 5 minuti del 75,5%), per poi far peggio da aprile a luglio (ultimo mese preso in considerazione), con un minimo del 59,6% a maggio. Il report analizza poi quello che è successo nell’ultima settimana dello scorso anno, mostrando come la puntualità vari molto anche da giorno a giorno: quella a 10 minuti dei Frecciarossa, per esempio, è oscillata dal 96,4% di lunedì 26 dicembre al 69,1% del mercoledì successivo, mentre quella a 5 minuti dall’92,8% di lunedì al 60,5% di mercoledì, giornata in cui poco più di un treno su due è arrivato a destinazione senza fare più di 5 minuti di ritardo. Della settimana precedente a quella analizzata viene citato solo il dato medio, sufficiente comunque a far capire che non è stata una gran settimana in termini di puntualità: quella a 5 minuti dei Frecciarossa è stata del 51,5% (86% quella a 10 minuti), mentre quella a 5 minuti dei Frecciargento appena del 31,7% (83,8% quella a 10 minuti). In sostanza 7 Frecciargento su 10 sono arrivati a destinazione con più di 5 minuti di ritardo e quasi 2 su 10 con più di 10 minuti. L’indice di puntualità a 10 minuti di mercoledì 28 depurato dai ritardi che non sono colpa di Trenitalia per i Frecciarossa è stato del 92,1%, quello a 5 del 90,1%.
Di chi è la colpa
In generale quale è l’incidenza delle varie cause sui ritardi dei treni? A questa domanda né Rfi né Trenitalia hanno risposto, benché entrambe pubbliche al 100%. Torna allora utile il Quality Report 2022 pubblicato online da Italo, compagnia privata della società Ntv, che mostra come gran parte dei ritardi sia attribuibile all’infrastruttura gestita da Rfi: i ritardi sotto i 5 minuti l’anno scorso sono stati causati per il 64,5% dei casi da Rfi, per il 13,7% dalla concorrente Trenitalia, per il 13,2% sono attribuibili a cause esterne e per l’8,6% a Italo. Analoga la distribuzione delle cause dei ritardi sotto i 15 minuti: 58,4% attribuibili a Rfi, 19% a cause esterne, 12,5% a Trenitalia, 10,1% a Italo. Nei primi nove mesi del 2023, se si escludessero i treni giunti in ritardo per cause esterne o attribuibili a Rfi e a problemi di convogli Trenitalia, la percentuale di treni Italo giunti a destinazione con un ritardo inferiore a 5 minuti sarebbe del 96,7%, mentre la percentuale di quelli giunti con meno di 15 minuti di ritardo sarebbe del 98,30%. Insomma, se si considerassero solo le colpe di Italo, i treni sarebbero abbastanza puntuali. Ma il discorso anche per Italo cambia se si considera la puntualità reale, cioè considerando tutte le cause di ritardo: in questo caso la puntualità a 5 minuti scende al 69,70% e quella a 15 all’84,80%. I dati pubblicati da Italo testimoniano anche un’altra cosa: meno treni sui binari significano meno problemi sulla rete. Così negli anni del Covid, quando circolavano meno convogli, si avevano meno ritardi: la puntualità reale a 5 minuti è stata del 73,2% nel 2020 e del 77,1% nel 2021, mentre quella a 15 minuti è stata dell’86,4% nel 2020 e dell’89,3% nel 2021.

Soluzioni alla tedesca
Con l’uscita dalla pandemia i problemi di congestione e capacità dei nodi sono tornati a farsi sentire. E di conseguenza gli indici di puntualità sono peggiorati. «È inutile andare a 300 km all’ora lungo la linea se poi si fa sistematicamente un quarto d’ora di ritardo per entrare in stazione», dice Debernardi che imputa a Fs una cosa: «Ancora oggi la progettazione dei nodi tende a immaginare che ci sia una clientela di élite che ha bisogno di andare velocissimo, le compagnie pubblicizzano la velocità di punta ma si guarda un po’ poco al problema delle prestazioni medie complessive per l’insieme degli utenti». Di soluzioni ce ne sarebbero, per esempio agendo sui sistemi di segnalamento, con l’introduzione di dispositivi tecnologici che consentano di ridurre il distanziamento tra i treni soprattutto quando sono in approccio alle stazioni. «Noi stiamo imponendo le regole di circolazione ad altissima velocità ancora molto vicino alle stazioni e quindi ci giochiamo della capacità in accesso alle stazioni. Ma è inutile tenere le regole così stringenti di sicurezza e distanziamento dei treni quando vanno a 300 all’ora anche quando entrano in stazione per fermarsi, perché in questo caso non stanno andando a 300 all’ora. In altri Paesi europei, come la Germania che ha treni ad alta velocità performanti come quelli italiani, così non è. La presa in carico dei treni attorno ai grandi nodi avviene con caratteristiche differenti che in Italia. Da noi la linea ad alta velocità e la gestione ad alta velocità dei treni finisce praticamente nelle stazioni centrali delle città».
Ci si mettono pure dei regolamenti obsoleti che mandano in tilt il traffico nelle grandi stazioni
Sembra banale decidere di copiare sin da subito la Germania, ma non lo è. Perché – dice Debernardi – ci sono questioni di “cultura aziendale” di Fs e perché in un sistema così complesso ci sono inerzie molto forti. «La preoccupazione per la sicurezza, giustamente al primo posto, determina il fatto che l’inserimento di ogni nuovo sistema sia da ponderare attentamente, non è una cosa che si decide da un giorno all’altro. È comunque certo che l’Italia ha maturato dei ritardi nella capacità di gestire i nodi con il corretto equilibrio tra esigenze di velocità e ed esigenze di capacità».
Investimento al sud. ma inutile
Tra chi ogni giorno sente la fatica di ritardi e disservizi c’è Franco Aggio, presidente dell’associazione di pendolari Mi.Mo.Al. (Milano-Mortara-Alessandria). A Fq millennium mostra una planimetria sul “riordinamento dei servizi ferroviari di Milano” per come era pensato nei primi anni del Novecento. I binari, sulla mappa, formavano un anello completo attorno alla città. «Ma il tratto a ovest che va dalla stazione di San Cristoforo verso quella di Certosa non è mai stato completato. Un suo completamento andrebbe a vantaggio soprattutto dei treni regionali, ma alcuni treni dell’alta velocità in arrivo da Torino, anziché passare dalla Centrale, potrebbero essere fatti fermare a Rho Fiera e a Porta Romana, per poi proseguire verso Bologna o Venezia. La stazione Centrale sarebbe così meno congestionata. Analoghi vantaggi si otterrebbero a Roma chiudendo l’anello dei binari a nord».
Debernardi ritiene però la costruzione di nuove linee una soluzione che richiede troppo tempo e costi, mentre gli utenti dell’alta velocità non sarebbero contenti di girare attorno a Milano senza arrivare in Centrale. Nuovi binari, per lui, sono invece da aggiungere all’interno dei nodi attraverso una tipologia di sovrappassi oggi non consentita in Italia: «A Milano il servizio delle linee suburbane del Passante ferroviario, percorse da molti treni e causa di problemi di capacità, è realizzato con elettrotreni piuttosto leggeri che possono percorrere salite e discese con pendenze fino a tre volte quelle ammesse oggi da Fs, pensate per treni merci molto pesanti. Le Ferrovie dello Stato continuano a immaginare che ogni singolo binario della rete debba poter esser percorso, in caso di necessità, da qualunque tipologia di treno». Non è così dappertutto, e ancora una volta l’esempio a cui ispirarsi è la Germania: «Lì da molti anni han deciso di lasciare lo scambio a raso per quel treno merci che deve passare una volta ogni tanto, ma si sfrutta la possibilità di superare pendenze elevate da parte dei treni suburbani per realizzare dei cavalcavia in prossimità delle stazioni. I treni leggeri suburbani, percorrendo questi cavalcavia, saltano gli altri binari e così si libera della capacità. Questi cavalcavia si riescono a costruire anche all’interno di contesti urbani dove lo spazio è poco, mentre i cavalcavia immaginati da Fs, per le pendenze ridotte, sono così ingombranti da avere bisogno di più di un chilometro per essere realizzati. Ma questo spazio di solito non c’è e così ci teniamo la congestione». E perché in Italia non si fanno questi cavalcavia a maggior pendenza? «C’è un regolamento che lo impedisce – risponde Debernardi – ma si potrebbe cambiare il regolamento. Non c’è un problema di sicurezza, ma di obiettivi che si vogliono conseguire».
Un tale tipo di sovrappasso, per l’esperto, sarebbe necessario anche in prossimità della stazione di Rifredi a Firenze, dove oggi si sta realizzando la nuova stazione sotterranea per l’alta velocità progettata da Norman Foster: «Sicuramente il tunnel risolve molti problemi e migliora la capacità del nodo, ma il fatto di non aver previsto un cavalcavia a Rifredi è un’occasione persa. Stiamo cantierizzando un’opera che dal punto di vista degli itinerari di adduzione alle stazioni è già vecchia e per i prossimi cinquant’anni ce la terremo vecchia».
Marco Ponti: “Il problema è l’insindacabilità di Fs, che non ha controparti ed è intrecciata alla politica”
Eppure sovrappassi di questo tipo costerebbero qualche decina o al massimo centinaia di milioni. Briciole in confronto ai miliardi previsti per la linea ad alta velocità Salerno-Reggio Calabria, in parte a valere sui fondi del Pnrr. Un’opera contro cui Debernardi si è battuto quando nel 2017-2018 è stato membro delle Struttura tecnica di missione del ministero dei Trasporti: «L’attuale linea Salerno-Reggio Calabria è moderna e consentirebbe già di andare da Roma a Reggio Calabria in quattro ore e mezza, che è quanto ci vuole a percorrere con l’alta velocità la stessa distanza tra Roma e Torino. Invece di investire su questa si è deciso di puntare su una linea ad alta velocità inutile e costosissima che non si riuscirà mai a fare, con l’effetto che sono già state interrotte le prospettive di investimento sulla linea esistente. Così la situazione per i viaggiatori calabresi nei prossimi anni non potrà far altro che peggiorare».
Tra le altre soluzioni utili a migliorare la capacità dei nodi, c’è quella di utilizzare treni in composizione multipla, cioè attaccare due convogli insieme, cosa che – spiega Debernardi – già viene fatto con i Frecciarossa 1000 tra Milano e Roma. Ma c’è anche un’altra modalità per usare i treni in composizione multipla, come viene fatto in Paesi come la Francia, dove due treni con origini diverse a un certo punto vengono attaccati per andare insieme a Parigi. In Italia si potrebbe fare per esempio unendo a Bologna un treno proveniente da Milano e uno da Venezia perché poi vadano insieme verso Roma. «Per ora da noi non si fa perché ci vogliono due requisiti: bisogna fare l’aggancio automatico rapido dei treni, che ha dietro questioni regolamentari da affrontare. E sebbene sia un soluzione che migliorerebbe la puntualità, ha esso stesso bisogno di una certa puntualità, altrimenti se uno dei due treni è in ritardo fa ritardare pure l’altro».

Autorità senza potere
E in tutto questo l’Autorità di regolazione dei trasporti (Art) che fa? «Ha emesso una nuova norma su come si misurano i ritardi e si allocano le responsabilità dei ritardi – spiega Debernardi – L’Art sta entrando solo ora nella contrattualistica che regola i servizi, ma questo dovrebbe essere un passo avanti». Ma l’autorità, secondo Marco Ponti, ex docente di Economia al Politecnico di Milano, è inadeguata a risolvere i reali problemi dei viaggiatori: «Il problema è l’insindacabilità di Fs, che non ha alcuna controparte. La rete è un monopolio naturale e in questi casi la disciplina economica dice che ci vuole un regolatore pubblico molto forte. Ma l’Art è molto debole perché la politica, che è intrecciata con Fs, la vuole debole per non vedersi sottratto il proprio potere». L’Art, secondo Ponti, dovrebbe essere impegnata in una questione rilevante come i ritardi, ma in sostanza non le vengono dati né il mandato né gli strumenti per farlo. E così l’autorità finisce per limitarsi a una regolamentazione ex ante e, in tema di puntualità, a occuparsi solo delle segnalazioni dei viaggiatori che non dovessero aver ricevuto i rimborsi spettanti in caso di ritardo.