Il maltempo, la nebbia, un problema tecnico: non sono ancora chiare le cause dell’incidente aereo che ha causato la morte del presidente iraniano Ebrahim Raisi. Secondo gli esperti citati dalla Cnn, che hanno analizzato le prime immagini dal sito dello schianto, l’elicottero che trasportava il presidente e il ministro degli Esteri dell’Iran era molto probabilmente un Bell 212 operativo dalla fine degli anni Sessanta. Prodotto prima negli Stati Uniti e poi in Canada, l’Iran ne aveva acquistato alcuni esemplari usati dalle Forze armate statunitensi nel 1976. All’incidente, oltre al maltempo, potrebbero aver contribuito le difficoltà dell’Iran nel reperire componenti di ricambio: una spia degli effetti delle sanzioni internazionali che negli ultimi anni hanno ripreso a stringere l’economia iraniana.

Lo dice esplicitamente l’ex ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif: “I principali responsabili della catastrofe sono gli Stati Uniti che, nonostante l’ordine della Corte internazionale di giustizia, hanno continuato a imporre sanzioni contro l’Iran sui pezzi di ricambio aerei“, ha detto Zarif. “Non c’è preoccupazione, perché supereremo una situazione così difficile, come in passato, quando gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni tiranniche”, ha sottolineato, citato dalla Tv di Stato, aggiungendo che “l’incidente è il risultato del divieto degli Stati Uniti all’Iran di avere accesso alle strutture per l’aviazione strutture, si aggiungeranno all’oscuro record dei crimini statunitensi contro l’Iran”.

Per l’Iran, infatti, è diventato sempre più difficile anche il reperimento di pezzi di ricambio essenziali per la manutenzione di velivoli, perfino di quelli in dotazione al presidente. La repubblica islamica è sottoposta a sanzioni dal 1984 e poi a più riprese negli anni Novanta, quando alla repressione e ai sospetti di fomentare il terrorismo si aggiunse lo spettro della corsa all’arma nucleare celata dietro al programma nucleare ufficialmente solo civile di Teheran.

La situazione internazionale stava per mutare dopo che nel 2015 era stato firmato l’accordo sul controllo internazionale del programma nucleare di Teheran. Tre anni dopo, però, il contesto è peggiorato dopo l’unilaterale uscita decisa da Donald Trump nel maggio 2018 dall’accordo nucleare. E dopo la successiva quarta ondata di sanzioni americane nel novembre dello stesso anno, potenziata poi nel 2019 con la diffida a tutti i Paesi dal commerciare con la Repubblica islamica. Sanzioni Usa che si estendevano anche alle banche. L’Iran, tra l’altro, doveva già affrontare le sanzioni delle Nazioni Unite che però non colpivano l’industria petrolifera iraniana, al contrario di quelle dell’Unione europea che dal 2012 hanno preso di mira l’export di idrocarburi, che produce introiti per oltre 480 miliardi di dollari. Così Teheran ha dovuto dirottare gran parte del suo export verso la Cina, intensificando la cooperazione economica anche con la Russia.

Quasi 20 anni di sanzioni hanno avuto un impatto sociale forte, se, come mostrava un recente studio della Banca Mondiale, fra il 2011 e il 2020 il numero di iraniani poveri è cresciuto dal 20% al 28%. Secondo questa ricerca il potere d’acquisto è crollato a causa dell’elevata inflazione. Ancora nel 2018, sotto al governo di Rohani, una ricerca del centro studi del parlamento iraniano riconosceva un tasso di disoccupazione che dal 10-15% dei precedenti due decenni, era schizzato ad oltre il 50%, con punte oltre il 63% in alcune aree del grande Paese. E una delle conseguenze potrebbe essere anche la difficile manutenzione della flotta di velivoli, pure di quelli utilizzati dal presidente.

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